Massimo rispetto per Anderson: adattare il ‘noir’ di Pynchon sarebbe stata un’impresa epocale per tutti. il virgolettato è obbligatorio, perchè, benchè via siano tutti gli ingredienti – sangue, un detective che fa una vita balorda, la bella misteriosa, un caso e un passato tormentato – il tutto è affumicato da un’ambientazione hyppie-decadente degli anni ‘70 (vi sono qua e là riferimenti storici del tempo, ma se non siete americani non ve ne importerà granchè). In tutto questo, Phoenix è il suddetto detective Sportello, incaricato dalla sua ex di indagare sulla recente scomparsa del nuovo compagno, ricco e sposato, neanche a dirlo!
Scalzo, sporco, fatto e spettinato, Sportello segue il caso mosso da istinto, appunti approssimativi, travestimenti occasionali; in mezzo, una lista innumerevole di comprimari, tutti di primo livello: da Benicio del Toro che gli fa da avvocato, all’amichetta di tribunale e di letto Reese Witherspoon; e ancora Owen Wilson, Eric Roberts; un redivivo Martin Short nella parte di un dentista quantomeno particolare… senza dimenticare la polizia, incarnata da un Brolin semplicemente perfetto nell’antitesi del pensiero hyppie: rigido, abito formale, capelli a spazzola.
Eppure, tra i due c’è un rapporto di odio-amicizia, un reciproco rispetto che regala le migliori scene del film; tutto il resto è fatto di costumi stupendi, momenti grottescamente ironici, di frammenti di piste che si accavallano, trasmettendo sì lo stesso mood incostante e melanconico del libro e di un’intera ideologia al tramonto, ma che lascerà i più sfiniti, dopo oltre due ore di film.
Anderson si è impegnato, e lasciar a ruota libera i suoi attori porta a momenti davvero unici (vedi Bigfoot nelle scene finali), ma poteva e doveva osare di più: rinunciando a quei comprimari che trovano spazio per giusto un paio di battute, tagliando almeno 30 minuti, Vizio di forma sarebbe senz’altro diventato un cult; ad oggi, ottime interpretazioni, ma non me la sentirei di rivederlo per intero.
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