Prima della Milano da bere, la Milano da rapinare nelle mani di Vallanzasca, prima bandito poi anarchico contro le istituzioni carcerarie: Placido continua a scrivere il suo personale romanzo criminal-popolare dell’Italia più nera, e tinta di rosso. Al contrario della Banda della Magliana, con la Comasina Placido disperde la cifra migliore del suo cinema, ovvero la forte muscolarità di regia, e sembra inseguire il protagonista alla ricerca del primo piano. È infatti un cinema da campi stretti, quello del regista di Vallanzasca, come se allargare l’inquadratura volesse dire lasciarsi scappare la focalità del personaggio e non riuscire a catturarne l’essenza. Ma in questo modo, Vallanzasca ha un ritmo opprimente che non si risolve in ispirazione, e perde fiato correndo fuori sincrono dietro sparatorie e corse in macchina, come se la storia non riuscisse mai a sovrapporsi perfettamente alle immagini. Storia sbandata, quindi, e personaggi fuori fuoco, a partire da Filippo Timi troppo sopra le righe e caricaturale, fino alle quasi comparsate di Paz Vega e Valeria Solarino, degradate a bonazze di turno e/o figurine di contorno. Chi invece resta aderente al personaggio senza calligrafismi o istrionismi è Kim Rossi Stuart, attore sempre più maturo che coglie sfumature e incertezze, fino ad arrivare ad una mimesi caratteriale che si fa fisica con il suo personaggio. Ma la sua ottima interpretazione non salva il film, che alla fine si macchia del peccato mortale peggiore, la noia, disperdendosi fra una prima parte da romanzo criminale senza nerbo e una seconda che si affloscia invece nel dramma carcerario.
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