Milano, giorni nostri. Marco (Fabio Volo), ingegnere, e Anna (Vittoria Puccini), architetta, dopo un colpo di fulmine in piena regola, anni di convivenza serena e la nascita del figlio Tommaso, sono in crisi. Eppure, il loro sembrava un amore in grado di mantenere le promesse: coetanei, belli e sani. Ma non è bastato. Quando Anna, che ha messo da parte le sue ambizioni per occuparsi del figlio, propone a Marco un trasferimento a Ibiza per ricominciare insieme un nuovo capitolo della loro vita, il marito rifiuta. Ma quando a Marco viene proposto un trasferimento di lavoro ad Amsterdam, lui inizia a pensarci. Intanto, Anna vorrebbe separarsi, Marco no, ma dal momento che hanno promesso a Tommaso un viaggio nella terra dei Vichinghi, decidono comunque di partire in camper per la Norvegia. Riuscirà Marco a riconquistare sua moglie di cui è ancora innamorato?
Una gran voglia di vivere, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Fabio Volo, edito in Italia da Mondadori, e approdato su Prime Video, è inscrivibile in quel filone di film in cui mollare tutto e andare all’estero o semplicemente altrove rappresenta una sirena irrinunciabile per provare a cambiare, per davvero, la propria vita, per azzerare tutto e ricominciare daccapo.
Se in passato si poteva facilmente bollare come un luogo comune oggigiorno è un tema che, in epoca post-Covid, ha assunto una nuova e più concreta centralità anche nel dibattito pubblico. Con tantissime persone che, a detta delle statistiche, decidono di mollare il lavoro per i motivi più disparati: cercare migliori condizioni di vita, non lasciarsi stritolare da alienazioni del quotidiano e abitudini malsane e spersonalizzanti alle quali rendere conto (per non parlare di obblighi produttivi e aspettative sociali), trovando cos una maggior sostenibilità nel perimetro delle proprie esistenze.
Una gran voglia di vivere muove da premesse che questo tema lo sviluppano con sufficiente schiettezza, visto che della vita dei due protagonisti, pur non vedendolo esplicitamente raccontato, intuiamo benissimo ciò che è andato storto e ha traghettato silenziosamente la routine nel grigiore (specie per quanto riguarda Anna, visto che Marco è uno che si sa accontentare). Si tratta però di uno di quei film italiani in cui il maggior vizio capitale è vedere dei personaggi che esplicitano costantemente quello che provano o gli autori vorrebbero provassero, attraverso frasi pensose, meccaniche e a volte un po’ aforistiche. Come se sentimenti, posture e psicologie fossero soltanto dei veicoli monchi, da esporre a parole più che a raccontare, perché alla verità e alla tridimensionalità del racconto non si può e non si deve credere per davvero e fino in fondo.
Diretto da Michela Andreozzi, che ne firma la sceneggiatura insieme a Volo e a Filippo Bologna (tra le menti e le penne di Perfetti sconosciuti), Una gran voglia di vivere è però soprattutto un road movie, che batte la Norvegia in lungo e in largo, affastellando stereotipi culturali, scenari glaciali ma ordinatissimi e paesaggi mozzafiato del Nord Europa con molta disinvoltura. Un po’ perché il viaggio è un motore narrativo primario della storia, come accade in moltissime storie, un po’ perché il paese scandinavo finisce facilmente col diventare un personaggio aggiunto, come si dice in questi casi (e la regia fa discretamente il suo lavoro, in tal senso, nell’equilibrare i vari set a disposizione), un po’ perché in fondo in Norvegia “si sta comunque meglio che a Viterbo” e le carceri norvegesi somigliano, più che alle nostre strutture omologhe, ai B&B di Cologno Monzese.
Se il font e l’animazione del titolo, nel momento in cui ci viene proposto sullo schermo, lascerebbero intuire ambizioni (quasi) da commedia sofisticata, Una gran voglia di vivere è più un road movie familiare dai conflitti all’acqua di rose, in cui tuttavia la recitazione degli attori aiuta ad accrescere il senso di verosimiglianza pur tra i tanti siparietti e scenette che disperdono l’energia delle forze in campo. Molto credibili appaiono infatti sia Fabio Volo, ingegnere che non parla mezza parola di inglese e che non fa difetto, come spesso accade al Volo attore, di espressioni opache e malinconiche, sia Vittoria Puccini, alle prese con un personaggio femminile di intransigente ma sempre legittimata spigolosità, al quale il copione garantisce più di una sfumatura.
Il tema più sviluppato è tuttavia quello delle facili idealizzazioni dei Paradisi supposti o presunti tal, che visti da dentro non sono esattamente quelli che immaginavamo da fuori, e quelle cui anche il concetto di “mollo tutto e cambio vita” può spesso andare incontro, con tutte le pastoie, le ipocrisie e i cortocircuiti paradossali del caso. Alla luce di ciò, è un peccato che si proceda stancamente a colpi di situazionismo riciclato e sempre uguale a se stesso, dalle cantate in macchina (qui s’intona, sebbene i nomi dei protagonisti rimandino a Lucio Dalla, Nord Sud Ovest Est degli 883, perché Max Pezzali, anche presente in un cameo, era compagno di liceo del protagonista) ai bagni nudi al lago, senza farsi mancare nemmeno le cartine geografiche in sovrimpressione per orientare lo spettatore italiano legittimamente non avvezzo alla topografia a fiordi, orsi e vichinghi.
Foto: Paco Cinematografica, Amazon Prime Video, RTI
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