Tutto il mio folle amore, la recensione

Gabriele Salvatores torna al road movie con un film ispirato al libro di Fulvio Ervas "Se ti abbraccio non aver paura", sul viaggio di un padre con il figlio autistico. E trova una grande alchimia tra i suoi protagonisti - Claudio Santamaria e Giulio Pranno - e un ottimo equilibrio tra dramma e commedia

Tutto il mio folle amore, la recensione

Gabriele Salvatores torna al road movie con un film ispirato al libro di Fulvio Ervas "Se ti abbraccio non aver paura", sul viaggio di un padre con il figlio autistico. E trova una grande alchimia tra i suoi protagonisti - Claudio Santamaria e Giulio Pranno - e un ottimo equilibrio tra dramma e commedia

Tutto il mio folle amore la recensione
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PANORAMICA
Regia (3.5)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (3)
Fotografia (3)
Montaggio (3)
Colonna sonora (3.5)

La ripetizione di un gesto cinematografico – un genere, un’epoca, magari un gruppo d’attori – porta nei casi migliori a una libertà creativa che trasforma il cinema in una forma di jazz, secondo un ritmo e certe regole ma lasciando all’improvvisazione un ruolo decisivo nella melodia. Ecco, l’abitudine e il talento di Gabriele Salvatores per il road movie, unito a quello dei suoi interpreti, fa di Tutto il mio folle amore un esercizio particolarmente riuscito di dramma e commedia, un’opera dall’anima leggera e sempre in equilibrio col tema delicato della malattia.

Del libro di Fulvio Elvas Se ti abbraccio non aver paura, dedicato al viaggio attraverso l’America di un padre e del figlio autistico, qui resta la relazione di parentela tra i protagonisti e la particolare sfumatura assunta dalla patologia, quella di un ragazzo incapace di contenere la propria energia e di comunicare ragionevolmente, sconquassato dai suoi umori, emotivamente fragile. La storia è invece molto romanzata, c’è un genitore – cantante ai matrimoni, giramondo e sosia di Modugno – che incontra per la prima volta il figlio abbandonato e ormai adolescente; c’è un percorso attraverso Slovenia e Croazia, iniziato per caso e pieno di inconvenienti, che li avvicinerà pian piano; ci sono una madre e un patrigno preoccupati, che si mettono in strada per ritrovare i due “fuggitivi”.

Nei suoi momenti migliori Tutto il mio folle amore è toccante, buffo e credibile, l’alchimia tra l’esordiente Giulio Pranno e Claudio Santamaria è strepitosa, e a tratti hai davvero la sensazione che se non ci fosse un ciak a bloccarli potrebbero andare avanti ancora a lungo, finendo di edificare il loro mondo oltre i confini del cinema. Funzionano forse un po’ meno i siparietti con Valeria Golino e Diego Abatantuono, ma quest’ultimo è talmente bravo a immaginare e interpretare una relazione con il ragazzo nei pochi momenti che ha a disposizione, che anche nel suo personaggio è sempre possibile trovare un appiglio emotivo concreto, un progetto umano che il film sviluppa.

Intorno ci sono i Balcani, misteriosi e accoglienti, con le loro pianure rocciose e le frontiere instabili. Circhi itineranti, vecchie palestre e brutti night diventano così i luoghi di un’educazione sentimentale e di un progressivo estraniamento culturale, riducendo la domanda del mondo che ogni viaggio comporta all’incontro (e alla separazione) dei due protagonisti. La colonna sonora generosamente rock, con cui Salvatores si è evidentemente divertito, fa il resto.
Un ottimo film popolare, con una sequenza perfetta al centro: lì vi sfidiamo a non piangere.

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