La ripetizione di un gesto cinematografico – un genere, un’epoca, magari un gruppo d’attori – porta nei casi migliori a una libertà creativa che trasforma il cinema in una forma di jazz, secondo un ritmo e certe regole ma lasciando all’improvvisazione un ruolo decisivo nella melodia. Ecco, l’abitudine e il talento di Gabriele Salvatores per il road movie, unito a quello dei suoi interpreti, fa di Tutto il mio folle amore un esercizio particolarmente riuscito di dramma e commedia, un’opera dall’anima leggera e sempre in equilibrio col tema delicato della malattia.
Del libro di Fulvio Elvas Se ti abbraccio non aver paura, dedicato al viaggio attraverso l’America di un padre e del figlio autistico, qui resta la relazione di parentela tra i protagonisti e la particolare sfumatura assunta dalla patologia, quella di un ragazzo incapace di contenere la propria energia e di comunicare ragionevolmente, sconquassato dai suoi umori, emotivamente fragile. La storia è invece molto romanzata, c’è un genitore – cantante ai matrimoni, giramondo e sosia di Modugno – che incontra per la prima volta il figlio abbandonato e ormai adolescente; c’è un percorso attraverso Slovenia e Croazia, iniziato per caso e pieno di inconvenienti, che li avvicinerà pian piano; ci sono una madre e un patrigno preoccupati, che si mettono in strada per ritrovare i due “fuggitivi”.
Nei suoi momenti migliori Tutto il mio folle amore è toccante, buffo e credibile, l’alchimia tra l’esordiente Giulio Pranno e Claudio Santamaria è strepitosa, e a tratti hai davvero la sensazione che se non ci fosse un ciak a bloccarli potrebbero andare avanti ancora a lungo, finendo di edificare il loro mondo oltre i confini del cinema. Funzionano forse un po’ meno i siparietti con Valeria Golino e Diego Abatantuono, ma quest’ultimo è talmente bravo a immaginare e interpretare una relazione con il ragazzo nei pochi momenti che ha a disposizione, che anche nel suo personaggio è sempre possibile trovare un appiglio emotivo concreto, un progetto umano che il film sviluppa.
Intorno ci sono i Balcani, misteriosi e accoglienti, con le loro pianure rocciose e le frontiere instabili. Circhi itineranti, vecchie palestre e brutti night diventano così i luoghi di un’educazione sentimentale e di un progressivo estraniamento culturale, riducendo la domanda del mondo che ogni viaggio comporta all’incontro (e alla separazione) dei due protagonisti. La colonna sonora generosamente rock, con cui Salvatores si è evidentemente divertito, fa il resto.
Un ottimo film popolare, con una sequenza perfetta al centro: lì vi sfidiamo a non piangere.