The Son: Hugh Jackman e il dolore accecante della paternità. La recensione del film di Florian Zeller

Dopo l'indimenticabile The Father - Niente è come sembra, il regista e drammaturgo francese Florian Zeller adatta per il cinema un'altra sua pièce teatrale, viaggio nel dolore sordo di un padre e di una famiglia alle prese con un figlio tormentato. Nel cast anche Laura Dern, Vanessa Kirby e il giovane Zen McGrath

The Son: Hugh Jackman e il dolore accecante della paternità. La recensione del film di Florian Zeller

Dopo l'indimenticabile The Father - Niente è come sembra, il regista e drammaturgo francese Florian Zeller adatta per il cinema un'altra sua pièce teatrale, viaggio nel dolore sordo di un padre e di una famiglia alle prese con un figlio tormentato. Nel cast anche Laura Dern, Vanessa Kirby e il giovane Zen McGrath

The Son
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PANORAMICA
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La vita frenetica di Peter (Hugh Jackman) con il figlio appena nato e la nuova compagna Beth (Vanessa Kirby) viene sconvolta quando l’ex moglie Kate (Laura Dern) ricompare con il figlio Nicholas (Zen McGrath), ormai adolescente. Il giovane manca da scuola da mesi ed è tormentato, distante e arrabbiato. Peter si sforza di prendersi cura di Nicholas come avrebbe voluto che suo padre si fosse preso cura di lui, mentre si destreggia tra il lavoro, il nuovo figlio avuto da Beth e l’offerta della posizione dei suoi sogni di carriera politica a Washington. Tuttavia, cercando di rimediare agli errori del passato, perde di vista il modo in cui tenersi stretto Nicholas nel presente.

Dopo essere entrato nella mente di un anziano malato di Alzheimer nel sensazionale The Father – Nulla è come sembra, film che ci costringeva a sposare il punto di vista sbalestrato e la sintomatica assenza di certezze del protagonista interpretato da Anthony Hopkins, il drammaturgo e regista francese Florian Zeller, che per quel film aveva vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale assieme a Christopher Hampton (oltre alla statuetta per Hopkins), ha adattato per il grande schermo un’altra sua pièce,  la più recente Les Fils del 2018, anch’essa incentrata su dinamiche familiari dolorose e lancinanti. 

Hampton è per l’occasione tornato a co-sceneggiare con Zeller e l’azione si è spostata da Parigi a New York: un cambio d’ambientazione fondamentale anche per l’economia e le finalità narrative del racconto di The Son, presentato in Concorso a Venezia 79. Il film rispetto a The Father si discosta dalle sottigliezze e dalle minuzie psicologiche da appartamento europeo (londinese, in quel caso) per scegliere la via di un solido e tradizionale dramma sentimentale all’americana, collocato nell’asettica, squadrata pulizia di interni newyorkesi solo apparentemente perfetti e idilliaci, nei quali la famiglia è un grumo di alienazione e distanza, felicità appassita e ricordi sfioriti, senso di perdita e traumi (il terzo capitolo della trilogia di Zeller, The Mother, che in realtà a teatro fu il primo a essere rappresentato, arriverà al cinema più avanti). 

Il figlio del titolo, interpretato da un giovane attore estremamente dedito a restituire il ritratto di un ragazzo ostaggio dei propri disturbi mentali, è il catalizzatore di una visione dolorosissima della paternità e della maternità, laddove gli sforzi per tentare di comprendere ed empatizzare col disagio del ragazzo risultano sempre vani. Soprattutto al cospetto di una superficialità di lettura che tende a normalizzare e non prendere per quello che è una condizione patologica propriamente detta, preferendo rinfacciare immaturità e obblighi disattesi, responsabilità venute a mancare e un generale scollamento da una precisa idea di realizzazione e ambizione, l’unica via socialmente accettata per agguantare felicità e soddisfazione personale. 

The Son ci racconta essenzialmente tanto le sofferenze dell’essere figli quanto le sicurezze perdute dei padri, mettendo in allarme su quanto possa essere riduttivo e pericoloso ricondurre ogni dolore adolescenziale agli schemi consueti di un’età della vita spesso irrisolta, puntualmente caratterizzata dall’incapacità di mettersi a fuoco rispetto a una trasformazione in atto. Rispetto a The Father The Son è un film orgogliosamente convenzionale, che vive tutto di fiammate attoriali, in primis grazie alla prova dolente di un volenteroso Hugh Jackman, mentre Laura Dern dopo l’Oscar per Storia di un matrimonioribadisce lo statuto elegantissimo di una recitazione sempre più matura e compiuta, specie nella compresenza di dolcezza, convivenza con la perdita del proprio status di moglie e madre e senso di inadeguatezza. Anthony Hopkins torna invece solo in una sequenza, forse in assoluto la più sgradevole, che ci permette di visualizzare concretamente il background e le mancanze che albergano nel passato del Peter di Jackman, immortalando per un momento anch’egli nelle vesti sgualcite e indifese del figlio che è stato. 

Ciò che risalta di più in termini di spazi e di parole, nell’adattamento cinematografico di Zeller, è la distanza siderale che trova posto nelle conversazioni tra padre e figlio, nelle quali quel misto di vergogna, non detti e tabù riguardo i temi di salute mentale impediscono un confronto sereno, pacificato, diretto. Il film asseconda questa mancanza fatale, riconducendo ad essa tutte le sue turbolenze, anche se in rapporto a The Father, col quale il confronto è tanto inevitabile quanto tuttavia ozioso, il bilancio tra la valorizzazione dello spirito teatrale del testo e la resa pienamente cinematografica della trasposizione pende più canonicamente a favore del primo dei due fattori in campo. 

In questo caso non è poi lo spettatore a essere chiamato a sbrogliare una matassa cerebrale emotivamente ricchissima e stratificata, come accadeva in The Father, ma The Son segue il suo pilota automatico di recriminazioni, veleni e flashback ovattati, accarezzati dalla mano pesante della nostalgia per una gioia innocente e perduta, in conflitto con le macerie di un presente troppo complicato e indecifrabile. Questa nozione di perturbante è meno sofisticata, senz’altro più divulgativa e hollywoodiana, ma con queste premesse riesce comunque ad agguantare una sorta di epitome del dramma borghese mainstream, sviluppandolo e osservandolo rigorosamente dall’interno, tra commiserazione e pietà. 

Foto: See-Saw Films, Film4, Ingenious Media

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