The Master: la recensione di Giampaolo Gombi

The Master: la recensione di Giampaolo Gombi

The Master è un film cupo e sgradevole. A cominciare dai due protagonisti, interpretati con straordinaria bravura da Joachin Phoenix e Philip Seymour Hoffman, i quali tratteggiano dei personaggi coi quali lo spettatore non è certo portato a identificarsi. Ma andiamo con ordine. Siamo negli anni cinquanta del secolo passato e Freddie Quell (Phoenix) è un reduce del secondo conflitto mondiale, con il fisico, ma ancor più con la mente, segnati da quell’esperienza. Tenta con poco successo di reinserirsi nella società, nel lavoro, ma lo penalizza un’aggressività residua che non riesce a dominare. Non è in grado di relazionarsi col prossimo. Si stordisce con dei micidiali grog che prepara lui stesso usando gli ingredienti più disparati, con la confusione e il disordine che gli sono propri.
Su una nave incontra Lancaster Dodd (Seymour Hoffman), un uomo di mezza età che, oltre ad apprezzare i suoi cocktail, lo porta a conoscenza di un pensiero e di una condotta di vita – una filosofia – che lui ha elaborato e che diffonde in adunanze di persone disponibili e ingenuamente fiduciose. Con modi e con parole persuasive, con atteggiamenti ipnotici, Dodd, il Maestro, trasforma Freddie in un adepto fedele della sua causa, detta appunto “la Causa”. Un affiliato fin troppo fedele, che tende a rimproverare al maestro, quando crede di ravvisarne, le deviazioni dalla linea del suo stesso pensiero. Un affiliato che non tollera lo scetticismo e la critica dei non credenti. E ciò avviene non in modo pacato, ma con quella aggressività e quel coinvolgimento fisico di cui Freddie continua ad essere prigioniero, tanto che viene da pensare in certi momenti del film al mito di Frankenstein, ovvero alla creatura che va al di la dell’immaginazione e dei propositi del suo artefice. Non è escluso che l’autore abbia voluto proporre ancora una volta una riflessione sui risultati che certi indirizzi di pensiero o teorie fondamentalmente arbitrarie possono produrre in persone sprovvedute e fragili: grande ed inesauribile tema. Freddie si aggrappa al maestro e questi, investito del proprio ruolo, non si tira indietro e, a giustificazione dell’allievo e sua, arriva a dire qualcosa come: «Chi riesce a vivere senza un Maestro?»
Un’opera aperta e interessante, coraggiosa, tuttavia penalizzata da alcuni rallentamenti e da un montaggio che chiede allo spettatore, specie all’inizio, uno sforzo di ricomposizione. Anderson sa districarsi correttamente nella complessa tematica, tuttavia al cinefilo viene da pensare cosa avrebbe cavato Stanley Kubrick da un simile argomento, notturno e oscuro come lui sembrava preferire negli ultimi tempi della sua straordinaria carriera.

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