La carriera di Alexander Payne è sicuramente composta di numerosi alti, nonché di una serie di lavori che ne hanno delineato una precisa impostazione ben riconoscibile, spesso emulata da molti giovani autori cresciuti nella filiera del Sundance. Ogni elemento è giocato per creare un melodramma costruito in un contesto realistico, lavorando sul conflitto tra due protagonisti antitetici, estremamente sfaccettati e non sempre avvicinabili dal pubblico come propri beniamini.
Dopo il successo di Nebraska agli Oscar, Payne interrompe il silenzio dopo anni con un progetto al di fuori da questo solito schema, Downsizing, che abbracciava la favola distopica per discutere del contemporaneo, con una certa confusione tematica, senza però alcun personaggio abbastanza forte da farsi portavoce dei disparati messaggi che si poneva di lanciare.
Non riuscendo a riscuotere altrettanta acclamazione di critica e pubblico, il regista di Sideways e Paradiso Amaro si prende sei anni prima di tornare dietro la macchina da presa per The Holdovers – Lezioni di Vita, riprendendo al suo fianco Paul Giamatti, grande mattatore nei panni di Paul Hunham, professore di lettere classiche impopolare, a cui viene affidato il compito di supervisionare su quattro studenti che rimarranno in collegio per le vacanze di Natale. A questi si aggiunge Angus Tully (Dominic Sessa), adolescente intelligente e ribelle, anche lui senza grandi amicizie.
Payne accantona quindi le aspirazioni del precedente sci-fi in miniatura per dedicarsi all’essenza dei film che lo hanno portato a diventare tra gli autori prediletti da Hollywood: il binomio dei protagonisti. Due opposti, forzatamente tenuti assieme, scoprono nel corso del racconto di avere più affinità e punti in comune del previsto. Questo centro nevralgico del film risulta perfettamente riuscito, in quanto i due attori scaldano il cuore con i loro scambi, sia nelle continue stilettate quanto nei momenti di conciliazione. Paul Giamatti impreziosisce la propria filmografia con una performance irresistibile, partendo da un ruolo stereotipato che riesce ad approfondire grazie al proprio talento di caratterista, alternando un registro drammatico a una verve comica che viene seguita perfettamente anche dal partner di scena.
Accanto a questo nucleo, la scelta vincente di Payne in The Holdovers è costituita dal fornire ai due interpreti principali un’atmosfera vivida all’interno della quale destreggiarsi e esprimere al meglio il potenziale emotivo dei loro confronti. Viene qui in aiuto la fotografia, che ricalca la consumazione della pellicola, ma al tempo stesso conferisce all’immagine un senso di antichità quasi confortevole, come se lo spettatore stesse assistendo a un racconto popolare tramandato da generazioni.
Questi toni caldi della grana visiva rendono più accogliente il gelido inverno che imperversa, ma contemporaneamente chiamano all’appello la nostalgia verso le festività e la convivialità, ma soprattutto la malinconia di un altro anno che sta per giungere al termine, pur non permettendo alle esistenze dei protagonisti di progredire dalla loro ammorbante staticità.
Questi sentimenti, seppur localizzati in un contesto storico e spaziale magari lontano dai costumi attuali, attecchiscono ugualmente con lo spettatore ed è proprio questo invidiabile fattore che potrebbero garantire a The Holdovers – Lezioni di Vita lo status di struggente (ed esilarante) classico natalizio, che rinuncia per una volta alla sua natura edificante e permettere al pubblico di guardarsi indietro, nell’inebriante calore della popolosa sala cinematografica.
Foto: CAA Media Finance, Universal Pictures
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