“Tenet” (id., 2020) è l’undicesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore londinese Christopher Nolan.
Nolan ritenta (come sempre) di espandere, sconquassare, intorpidire e mettere a soqquadro ogni inquadratura (del cinema). Il fatto (o già eseguito) è fuori da ogni perversa logica ‘disorientante’ o per lo più esente da qualsivoglia spiegazioni antropologicamente viva e presente.
Il cinema di Nolan atterrisce (e/o attecchisce) per la sua perspicacia nullità del vuoto temporale: il tempo orientante verso l’ossimoro mondo futuribile (disconosciuto), specchio o circolo vizioso di un passato a cui è lecito cambiare per scambiare i vettori (entropici) di una storia (o di storie) frammiste a volti, spazi, strade, percorsi, fuochi e velleità ossigenanti (ecco l’interstellar girovagante dove senza aria scoppia tutta e si disintegra l’interiorità a-temporale).
Un film ‘a-generazione’ dove l’imbroglio nolaniano (con spazi e tempi cartesiani in giravolta continua…con l’origine che si sposta continuamente) è sintomo di influenza ‘pandemica’ della macchina da presa (d’altronde il termine ‘lockdown’ viene scandito dal ‘compassato’ Neil con camminata assortita tra il vago e l’encomio digitale di ‘fuori-orario’ scorsesiano….), che si scuote, (s)carrella, avanza, indietreggia, s’indigesta, scombussola tra set (s)finiti e allegorie fantasmagoricamente convulse.
Titolo: dal quadrato di Sartor (cosiddetto quadrato magico dove si ‘trova’ TENET con altre quattro parole. Tutto come un palindromo (se letta da sinistra a destra o viceversa o dall’alto in basso e viceversa).
Algoritmo: sconnettere logiche orientative e rubare il ‘razionale’ gioco per ‘salvare il mondo. Salvarlo per riacciuffare …….la nuova vita. Buoni contro i cattivi, arruolati e colorati, tempi diversi e tempi scanditi. Cronometro per la vita già nata e una madre che percorre la storia cambiando destini di molti.
Protagonista: non ‘un’ ma ‘il’ … senza tergiversare e mettere in discussione il volto della CIA che si protrae e si dilunga in su e giù, tra pericoli incombenti e pallottole sguarnite, aerei in fiamme e palazzi di gomma piuma. E l’acqua e il fuoco si dimenano tra arie imputridite e ossigeni ripieni. Atmosfere di ieri e di oggi. Girando il mondo in lungo e largo (… guardare i set predisposti).
Incipit:
1.0- pare inverso, in senso temporale, al concerto de ‘L’uomo che sapeva troppo’ di A. Hitchcock;
2.0- il corridoio da dove si dirama la ripresa, in avanti e in uscita, corre come non mai e chi sa in quale senso temporale…;
3.0- gli spettatori in sala, il pubblico che accorre è tutto accartocciato in un sogno obbligato e/o in una vita da (ri)cambiare;
4.0- l’effetto sonoro e lo score musicale elevano l’ansia e il paradigma del film da sviluppare:
5.0- la logica scorre micidiale e i corpi frantumano lo spazio-temporale: chi sa quanti metri fanno tutti i personaggi….forse rincorrendo i sogni del pubblico…
‘Non cercare di capire’:…tanto prima o poi…’ Arriva la cavalleria’.
Ecco che il tempo, la quarta dimensione, la fisica astratta e concreta, l’entropia e il caos latente si incontrano e si scontrano, lambiscono gli spazi e atterriscono una sceneggiatura contorta e volitiva. La plastificazione dei set, il contorcimento delle riprese e il piroettare di corpi, pallottole, fiamme e frastuoni. Il silenzio sembra essersi dimenticato del tempo e senza-orologio s’addormenta la voce umana.
Il mainstream, sempre e comunque, aspettato al varco, dischiude ogni vero intrattenimento per farci girovagare e salutare la schiuma dei concetti complicati.
“Macchina del tempo?”, “No!, Al contrario”.
“Evitare la III Guerra Mondiale”, “ Non vedo un Armaggedon…”
E in un pandemonio (pandemico) e blocco lockdown (nominato …quasi un presagio del tempo) il set diventa poliedrico, intrigante, fustigante e, quantomeno, camaleontico. Per ovvie ragioni (sragionevoli) la storia è complicata quantomeno azzardare quante pallottole sui muri sono arrivate o meglio che devono ancora arrivare a destinazione. Tourbillon e cinepresa sadica sullo spettatore.
La fisica dei corpi? E quella dei tempi? Entropia delle riprese e gioco para-tv su comandi e telecomandi. E’ il numero di pellicole scambiabili. L’ (‘eXistenZ’) essenza parallela di fatti ripresi, incolumi, caotici, schematici e da rovesciare: il nolaniano (Cronenberg) fa respirare il cast con ironici mo(n)di mentre il gi(u)oco par non finire.
L’inizio fantasmagorico (‘La morte in diretta’ -1980- di B. Tavernier…) è la paura post-datata come il ghigno sapiente (parte finale de ‘L’uomo che sapeva troppo’) è la verità mai data. Chi sa chi corre e contro chi? E’ l’algoritmico filmico.
L’epilogo di questo diventa incipit. E mentre il concet(r)to si fa avanti, in Nolan è un sogno per tutti, il pubblico in agonia mediatica o in psicodramma avventuristica. La musica e i passaggi, i corridoi e le scale, l’assalto e i tempi, il buio e il salone, il cerchio e i raggi delle inquadrature. Uno scorrere…(vedi sequenza finale).
Epilogo lunghissimo con immaginari complicati e frizioni temporali avanti e indietro, squadre miste e incroci di eventi, con esplosioni e aperture, partenze e chiusure.
Il duello è vivo, la morte si fa attendere, una ridondanza languida, forviante e accattivante. Un western dei tempi (nel tempo di ognuno), a distanza più o meno ravvicinata. Dove il dopo (un figlio) arriva per destino di ognuno e il prima (un padre) assale la storia senza conoscere (forse) un breve futuro.
Cast:
John David Washington (Il Protagonista): in ‘do’ minore, si lascia andare e forse non ci crede molto; Robert Pattinson (Neil): ardito e dondolante, asciutto e smorto, intriga supinamente; Kenneth Branagh (Andrei Sator): il fato si compiace per un personaggio iroso e rissoso, scaltro e poco…in salute; Michael Caine (Sir Michael Crosby): un qualche minuto e zittisce tutti, elogiando la verve di una postura diluita in ogni inquadratura, ecco chi spiega l’alter-ego del regista; Elizabeth Debicki (Kat Sator): decisa e tesa, tiene in ansia e vive con l’ansia. Per ricordarlo fino in ultimo.
Musiche di Ludwig E. T. Göransson: forti e roboanti, avvolgenti e mangia-scene;
Scenografia di Nathan Crowley (collaboratore da ‘Insomnia’ -2002-), vistosamente decorata e testardamente vuota.
Regia di C. Nolan: virtuosa (come sempre), mistificante e con fervore da grande schermo.
Voto: 7½ (***½) -cinema indiretto-