“Spaccapietre” (2019) è il settimo lungometraggio dei registi torinesi Gianluca e Massimiliano De Serio.
Film crudo, lontano da ogni retorica, opprimente, vero e dove la speranza si annulla da sola. La redenzione dei corpi martoriati quasi a disconoscere ogni sogno. Il ragazzo è l’unico (forse) a credere in un sogno impossibile (per chi osserva la sua storia).
Vivere battendo la miseria ed essere il destino nullo di ‘caporali’ per una manodopera pesante e senza tempi. Non ci sono regole se vuoi mangiare qualcosa e tirare avanti ad ogni giorno sotto ‘ai capi’ senza poter dire nulla.
Una drammaticità già nelle riprese, distaccate, infangate, struccate e con gli sguardi intimoriti. E nello stesso tempo con una ‘solidarietà’ di grande impatto. La cinepresa non si ferma a indugiare per una commozione superficiale ma sente la vera necessità di sgomentarci, di sballottarci tra i corpi in disarmo di chi non sa più cosa fare e dove rivolgersi.
Per Giuseppe pare (è) l’ultima strada. Dopo aver lasciato il lavoro di ‘spaccapietre’ per una ferita al suo occhio si ritrova a casa con la moglie Angela che è costretta a mettersi in fila per un lavoro in campagna (si fa reclutare, aspetta il suo turno, senza diritti e con grande coraggio). Una madre che cerca di portare qualcosa per suo marito e il piccolo Anto’.
Tutto si svolge con una fare silenzioso e tedioso, spento; riprese dritte, asciutte e senza nessun filtro..
La chiama: una donna, Angela, che parte, una madre che ha bisogno, un nome ancora da inserire, una famiglia da difendere e il mangiare che manca;
La morte: un padre in disarmo, un figlio che non crede, un sogno di speranza, un fiore per una tomba dopo un bagno in compagnia. Basta crederci di essere nuovamente insieme.
Il padre: solo e incautamente vivo, depresso, con un occhio ferito, un collirio d’aiuto è un infermiere speciale; le mani del figlio per rincuorare la sua vista;
Lo spaccapietre: il ritorno nella ditta, il coraggio di richiedere, un no senza appello e una raccomandazione senza senso. E una ripresa interna, da dietro; Giuseppe è fuori.
Il lavoro: è quello dello spaccapietre; è mandato, diamogli qualcosa, la fatica si sente oltremisura con un figlio che regge più del dovuto. La paga è pochissima e con 5 euro si può comprare un paio di piatti, una pentola e poco per poter mangiare in quella serata….manca una lampadina nel misero buco dove si dorme e si riesce a mangiare. Una vergogna indegna.
La corruzione: è il mondo del ‘caporalato’, lo sfruttamento, le tante ore, la paga pochissima, la soggezione, la paura, la persa dignità, il sottobosco dei sempre perdenti. I vinti di Verga oltremisura tenuti al bavero. Essere in ginocchio come cani….E i pochi acquisti (miseri) in un negozio dei perdenti. Scambio di povertà anche per una lampadina dentro un buco orribile.
Lo sdegno totale: una violenza inespressa, un dolore atroce, il sangue, la liberazione; una redenzione inesistente, la partecipazione diventa un pianto di dolore interiore per corpi distrutti da vite inginocchiate, come potere su tutto senza battere ciglio. Una violenza, di schianto, che arriva, perché aspetti senza se ….. ; il testimone è un figlio, il proprio figlio con una donna che sembrava sconosciuta. Si corre, si scappa senza fiato in gola.
Anto’ e un volo: il sogno non c’è mai, una speranza notturna, la luce è spenta; Anto’ cerca di sfogarsi e guarda, cerca il volto della madre. Impossibile o possibile. Uno spiraglio inesistente, un traguardo che non c’è, una donna (Rosa) che prende un figlio. Una donna (Angela) che sogna il figlio. Un ragazzo che è diventato grande con la morte dietro e una vita da rincorrere.
Salvatore Esposito (Giuseppe): interpretazione muta, oscura, inespressa, rancorosa, inesplosa e implosiva.
Samuele Carrino (Anto’): attento, docile, intenso; recitazione essenziale e viva; un viso che rimane.
Regia dei fratelli De Serio di grande effetto, attiva, partecipante, essenziale.
Voto: 8 (****). -cinema verità-