“God is dead. Marx is dead. And I don’t feel so well myself” (Eugène Ionesco). La catabasi ferrariana segue pedissequamente il suddetto iter: dop’aver concluso l’analisi critica del Cristianesimo (forse) con “Mary” (2005), il regista s’è mess’a caccia d’una redenzione sostitutiva con “Go Go Tales” (2007) e “4:44 Last Day on Earth” (2011), è transitato nel politico con “Welcome to New York” e “Pasolini” (2014), e da “Tommaso” (2019) è giunt’all’autoanalisi a scherm’aperto. “Siberia” è stato definit’un “Ferrara 8½”, però vive di luci altrue: gl’husky come rimasuglio di “Togo” (Core 2019), la versione femminile del nano di Lynch, il death metal e i demoni sessuali di Trier (Dafoe c’è: e la Gainsbourg?), la carnalità horror del primo Cronenberg, le cosmogonie onirico-allucinate che rinviano a “4:44” e dunque a non si sa bene quale spiritualità (buddhismo, sincretismo aquariano, Coelho, next age?), la frammentarietà aforistica di Nietzsche, i tormenti familiari del giovane Moretti ch’a volte stentavano a diventare l’ombelico del mondo. Un “pastiche”? No, un pasticcio solipsistico poc’originale, appassionante, convincente.
Ps: i titoli sia di testa che di coda ringraziano l’AncelorMittal.