Dalla prospettiva italiana, l’emergenza migranti è soprattutto una questione di mare: la tratta Mediterranea, i suoi morti e i suoi orrori sono un tema politico e sociale all’ordine del giorno, esplorato qui alla Mostra del Cinema di Venezia 2023 da Matteo Garrone con il suo Io Capitano. C’è tuttavia un altro fronte europeo nel quale da anni si sta consumando una sanguinosa tragedia umanitaria: lo Zielona Granica, il “confine verde”.
Si tratta di una zona di foresta che segna la frontiera tra Bielorussia e Polonia, varco d’accesso per l’Unione Europea che dal 2014 è diventato la corsia “preferenziale” dei profughi siriani in fuga dalla guerra, dall’Isis e non solo. Dietro questa tratta ci sarebbe un preciso disegno politico che fa capo al Cremlino di Vladimir Putin: la dittatura di Lukashenko starebbe favorendo l’arrivo dei profughi in quella zona per usarli come «proiettili umani» contro l’Unione Europea, una strategia non dissimile da quella utilizzata della milizia Wagner in diversi Paesi africani.
Controllare il flusso dell’immigrazione è centrale per minare la stabilità economica e sociale dell’Occidente, e negli ultimi anni se ne sono visti i devastanti effetti soprattutto dal punto di vista umanitario. Quello che accade al confine verde non è però affrontato dal punto di vista politico, anzi, delle istituzioni non c’è mai traccia. Il fulcro del film diretto dalla candidata all’Oscar per Europa, Europa Agnieszka Holland – di ritorno a Venezia 21 anni dopo Julie Walking Home – sono le singole storie prese ad esempio di una situazione ben più estesa e drammatica.
In quattro linee narrative che si intrecciano a più riprese, viene raccontata l’odissea poco epica di una famiglia siriana che viene brutalmente rimbalzata da un confine all’altro come palloni da calcio; lo sforzo di alcuni attivisti che operano in quella zona dove la legge è ripetutamente sospesa; come la vita di un’abitante della zona viene travolta dal tragico incontro con alcuni profughi; infine la linea più controversa che segue la storia di una guardia di frontiera polacca partecipe di quegli orrori ma morso dalla coscienza.
La Holland non nasconde niente: rinuncia a qualsiasi vezzo lirico per restare incollata alla sofferenza e ai traumi dei suoi protagonisti, un campionario umano che sineddoticamente punta a restituire il quadro più completo possibile della situazione. Procede per immagini molto forti, degne del miglior cinema di denuncia civile, che vogliono chiaramente smuovere empaticamente il pubblico ma non scadono mai nella facile retorica o esposizione del dolore.
A volergli fare un torto, Zielona Granica verrà definito «un pugno nello stomaco», formula critica ormai stantia che minimizza quello che dovrebbe essere l’impatto del film della Holland, quanto bisognerebbe fare i conti con questo tipo di storie e di sguardo sul reale. Specialmente alla luce dell’epilogo finale, che inchioda la Polonia e l’Unione Europea di fronte alle proprie ipocrisie e aprendo al parallelismo con la ancor più recente situazione ucraina, con la risposta delle istituzioni in questo frangente.
Con Zielona Granica, la 74enne regista polacca scende ancora una volta in campo per impegnarsi artisticamente a lottare per quelle voci che non hanno modo di farlo. Perché se un profugo cade in una foresta verde e nessuno lo sente, non fa rumore. È quindi lei a farsene carico, con un racconto crudo e intenso che potrebbe anche farle conquistare il Leone d’Oro a questa Mostra del Cinema di Venezia – ma non sarebbe il punto.
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Foto: Metro Films
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