Tár: dirige l’orchestra il Maestro Cate Blanchett. La recensione del film di Todd Field a Venezia 79

La protagonista del film è Lydia Tár, direttrice d’orchestra e compositrice che vive a Berlino, dove dirige la Filarmonica, e appartiene alla ristrettissima cerchia dei musicisti che hanno vinto Oscar, Emmy, Grammy e Tony Award, cioè tutti i premi musicali più prestigiosi dell’industria culturale americana

Tár: dirige l’orchestra il Maestro Cate Blanchett. La recensione del film di Todd Field a Venezia 79

La protagonista del film è Lydia Tár, direttrice d’orchestra e compositrice che vive a Berlino, dove dirige la Filarmonica, e appartiene alla ristrettissima cerchia dei musicisti che hanno vinto Oscar, Emmy, Grammy e Tony Award, cioè tutti i premi musicali più prestigiosi dell’industria culturale americana

Tár
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PANORAMICA
Regia (4)
Sceneggiatura (3.5)
Interpretazioni (4)
Fotografia (4.5)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3.5)

Lydia Tár, direttrice d’orchestra, compositrice, vive a Berlino dove dirige la Filarmonica, ed appartiene alla ristrettissima cerchia dei musicisti che hanno vinto Oscar, Emmy, Grammy e Tony Award, cioè tutti i premi musicali più prestigiosi dell’industria culturale americana. Si appresta a incidere l’unica sinfonia di Mahler che ancora manca al suo curriculum – il coronamento di una carriera, la chiusura di un cerchio artistico – e a posare per la copertina di un cofanetto della Deutsche Grammophon che le raccoglierà tutte. Fa la spola tra l’America e l’Europa, partecipa a eventi di beneficienza, viaggia su aerei privati, vive in una casa-museo, severa e moderna, che ne rispecchia il carattere ambivalente.

Lydia Tár è una donna di potere, lo esercita e ne beneficia con l’impudenza dei geni conclamati, lo sfrutta per sedurre le giovani orchestrali con cui lavora o a cui fa intravedere la possibilità di una carriera, lo adopera per ottenere soddisfazione, in ogni forma. E lo fa anche nell’epoca del #MeToo, rispetto ai cui sommovimenti si sente protetta per una mera questione di genere. Ma in piena economia reputazionale, le conseguenze delle proprie azioni finiscono sempre per scovarti: più in alto stai e più in fretta le cose precipitano.

Todd Field (In the Bedroom, Little Children), uno che ha fatto appena tre film in oltre vent’anni, scrive e dirige la sua opera più ambiziosa, quella di maggior respiro, impegno produttivo e potenziale politico. Costruisce il ritratto di una donna sofisticata e intelligente, ma anche cinica e serenamente narcisista, con l’obiettivo di indagare la natura della creatività ed i legami tra questa l’esercizio del desiderio. Nella prima metà, quando viene presentato il rapporto tra Tár e Mahler, quindi tra Tár e il suo mestiere, il film ha una sua misura impeccabile: con la curiosità dei neofiti, ci si immerge in lunghe dissertazioni sull’origine delle sinfonie del compositore austriaco e sul loro posto nella storia della musica. È il racconto di un mondo che il cinema popolare ha sempre esplorato poco e a cui il direttore della fotografia Florian Hoffmeister – ma anche scenografie e costumi – conferiscono una severità seducente (il film opera visivamente su infinite scale di grigi e marroni, su linee rette e spigoli, mentre il mondo intero sembra in penombra) una gravità quasi da thriller che fa da contraltare ad un incedere lento e contemplativo.

Nella seconda parte si sviluppa invece una narrazione più tradizionale: è chiaro che a Field interessa isolare le dinamiche del narcisismo estremo e dell’abuso di potere che ne consegue, cambiando il soggetto agente, sottraendolo allo stereotipo del maschio bianco eterosessuale di mezza età e sostituendolo con una donna lesbica. Questo movimento riporta in un certo senso il film sulla Terra, lo riconduce a meccanismi così ovvi, così noti, che il confronto con le meravigliose elucubrazioni e la precisione dei gesti della protagonista sul palco, che abbiamo visto fin lì, genera un certo stridore. È come se l’attualità morbosa da prime time sommergesse l’esercizio senza tempo della bellezza: è uno stacco brutale.

Quando il film dice quello che stava tenendo in serbo, si vorrebbe insomma che tornasse a volare più alto, ci si domanda inconsciamente se ci fosse bisogno di un’altra storia così, seppur invertita nei generi di riferimento. È una domanda senza senso, come ogni esercizio di riscrittura del cinema: ma se Tár è in definitiva un’opera che pone domande non così eccelse, condivide comunque col suo pubblico una tale dote di bellezza (la performance di Cate Blanchett, il dietro le quinte di una grande orchestra, come si ragiona dell’ispirazione di un compositore, come si raccontano i capolavori del passato al presente…) da riscattare ampiamente la sua dozzinale vena politica.

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Foto: Universal

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