She-Hulk ovvero Better Call Jen. La recensione della serie Marvel con Tatiana Maslany

Il nuovo show dell'MCU, con protagonista la cugina di Bruce Banner, si è rivelato una brillante satira meta-testuale

She-Hulk ovvero Better Call Jen. La recensione della serie Marvel con Tatiana Maslany

Il nuovo show dell'MCU, con protagonista la cugina di Bruce Banner, si è rivelato una brillante satira meta-testuale

she-hulk
$td_post_theme_settings_check TRUE
PANORAMICA
Regia (2.5)
Interpretazioni (3)
Sceneggiatura (3)
Fotografia (2.5)
Montaggio (2.5)
Colonna sonora (3)
Effetti speciali (1.5)

Tra tutti i progetti Marvel annunciati in questi anni, She-Hulk non è probabilmente quello che ha alzato l’hype dei fan. Pur creata da Stan Lee e John Buscema nel 1980, la cugina di Bruce Banner non è stata esattamente una figura centrale nei fumetti e il suo arrivo è passato molto in sordina.

Non ha probabilmente aiutato che la serie, uscita su Disney+, si sia inserita nel solco tracciato da Thor: Love and Thunder, ovvero quello dei prodotti Marvel votati ad una estrema leggerezza, bonariamente esagerati, ridicoli in senso positivo. Da subito, She-Hulk ha preso questa strada: le vicende dell’avvocatessa imparentata con Hulk, divenuta a sua volta una gigantessa gigante verde a causa di un incidente che ha coinvolto il sangue del cugino Avenger, sono state vissute tramite lo sguardo disincantato della sua protagonista, interpretata da Tatiana Maslany (già camaleontica in Orphan Black).

Per i primi 8 episodi, la serie è stata un legal drama spiritoso e senza pretese, che ha alternato momenti di burocrazia supereroistica a sprazzi di critica e riflessione sul ruolo delle donne e le difficoltà che incontrano ancora oggi nella società e nell’ambiente lavorativo. La dicotomia tra Jennifer Walters e She-Hulk non è che un allegoria per mettere in luce le mille battaglie che ancora oggi si combattono per garantire il sempre tardivo approdo ad un’effettiva parità di genere.

Spunti interessanti e concreti, mescolati a situazioni e personaggi particolarmente buffi e pescati “dal fondo” dell’universo Marvel. Oltre al ritorno di Tim Roth come Abominio e di Charlie Cox nei panni di Daredevil, She-Hulk ha lanciato nuovi volti che saranno sicuramente protagonisti nel proseguo dell’MCU, come il figlio di Hulk Skaar, apparso di sfuggita nell’ultimo episodio dello show.

Proprio l’ultima puntata merita una digressione a parte e garantisce un voto in più alla serie: nei fumetti, She-Hulk è un personaggio immaginario conscio della sua natura e proprio per questo rompe più volte la quarta parete per parlare con i lettori. Un aspetto meta-testuale mantenuto nello show sin dal primo episodio, ma è sul gran finale che le cose si sono fatte veramente interessanti.

Scontenta di come le cose stavano andando, tra linee narrative confuse e altre facilonerie che stavano effettivamente facendo storcere il naso, ecco che Jennifer Walters rompe di nuovo la barriera che separa contenuto e contenitore, arrivando fisicamente a sconfinare dal suo spazio su Disney+ e avventurarsi nella docu serie Avengers: Assemble per sistemare le cose. Qui, si fa strada prima nella stanza degli sceneggiatori (dove è presente anche la show-runner Jessica Gao) per poi arrivare fino alla sala del potere per parlare con Kevin. K.E.V.I.N, anzi, l’intelligenza artificiale responsabile di tutto l’MCU.

Nella sua ultima puntata, infatti, She-Hulk diventa talmente tanto meta-cinematografica da riflettere sulla natura stessa del Marvel Cinematic Universe – pregi e difetti. Affrontare le critiche, le ripetizioni, tutti quegli aspetti che da anni i detrattori di Kevin Feige e soci ribadiscono a gran voce. Questo brillante dietro le quinte – a là architetto di Matrix  – dà una verve diversa allo show, freschezza ed originalità che riabilitano anche gli aspetti più blandi della serie – come una CGI di nuovo scarsamente all’altezza e a sua volta “vittima” di ironia auto-riferita in quella scena.

Presa con la stessa leggerezza con la quale si propone, She-Hulk è quindi un prodotto a suo modo unico nell’universo Marvel. Sarà estremamente difficile riuscire a collocare il personaggio in un contesto corale, come un film sugli Avengers, senza snaturarne gli aspetti narrativi che lo rendono speciale. Ma se c’è una cosa che ci ha insegnato Jen Walters, è che non esiste problema senza soluzione. Fosse anche spaccare tutto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
shortcode