Samaritan: Istituto Nazionale Previdenza Supereroi. La recensione del film con Sylvester Stallone

Dopo Guardiani della Galassia, Sly si è fatto un cinecomic tutto suo dal risultato molto deludente

Samaritan: Istituto Nazionale Previdenza Supereroi. La recensione del film con Sylvester Stallone

Dopo Guardiani della Galassia, Sly si è fatto un cinecomic tutto suo dal risultato molto deludente

Samaritan recensione
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PANORAMICA
Regia (1.5)
Sceneggiatura (1)
Interpretazioni (2)
Fotografia (1)
Montaggio (1.5)
Colonna sonora (2)

Dopo un travagliato iter produttivo sospinto proprio dall’interesse della star protagonista, Sylvester Stallone, è arrivato su Prime Video un nuovo film sui super poteri che si sforza di distaccarsi dalle logiche dei cinecomic: Samaritan.

È la storia di due fratelli dotati di incredibili poteri ma che scelgono vie anti(t)etiche tra loro per metterli al servizio del mondo: Samaritan, nomen omen, crede che chiunque possa avere la possibilità di redimersi; Nemesis, che detesta il fratello al punto da creare un’arma forgiata con l’odio, agisce da vigilante che non si tira indietro quando c’è da usare la violenza. 

Sono però passati decenni dall’ultimo scontro tra i due e ora Granite City – che per squallore e degrado criminale ricalca la Gotham di Batman – è in mano a bande pronte a far piombare di nuovo tutto nel caos. Un ragazzino (Javon Walton, Euphoria) scopre però che Samaritan potrebbe essere ancora vivo ed abitare nel palazzo di fronte al suo. Al vecchio eroe viene offerta la possibilità di tornare in azione per fermare un criminale (Pilou Asbæk) intenzionato a portare a termine il piano di Nemesis.

Sin dal prologo, Samaritan rende chiaro il tipo di impostazione narrativa che vuole offrire: uno scontro manicheo tra bene e male, una storia che tuttavia può muoversi solo in una direzione – ovvero la sua contraddizione in fieri. Un’idea però ormai troppo abusata e che riavvicina prepotentemente il film di Stallone all’universo Marvel: una delle caratteristiche sempre più dominanti dell’MCU è infatti un dualismo tra eroi e cattivi nel quale i confini della morale si sfumano e le bandiere ideologiche non possono più essere assegnate con granitica sicurezza.

Ne é un esempio il Gorr di Christian Bale nell’ultimo Thor: Love and Thunder, i vari villain di ritorno di Spider-Man: No Way Home, il padre in lutto co-protagonista di Shang-Chi e via dicendo: tutti personaggi dietro al cui ruolo da villain si scorgono motivazioni e intenti che si distaccano dalla logica del cattivo tanto per – concetto invece abbracciato senza indugi dalla controparte DC in più occasioni. Samaritan ricade esattamente nello stesso archetipo, tanto onesto quanto contraffatto.

Potrebbe quindi essere solo un altro film di super poteri che cerca di sfuggire al paragone con i dominatori del settore, ma decide di complicarsi la vita: dopo un colpo di scena svogliatamente anticipabile sin dalla quarta scena con Stallone, sul finale Samaritan rinnega ancora una volta se stesso. Per circa ottanta minuti punta a far blandamente riflettere sulle etichette che vengono imposte, sul peso del nome che ci portiamo dietro e sulle possibilità di redenzione che la vita offre. Negli ultimi dieci, invece, nega la sua stessa iniziale negazione del manicheismo alla base della storia. Lo stesso inciampo drammaturgico visto fare, per esempio, da Rey nella scena finale di Star Wars: The Rise of Skywalker.

Oltre alle enormi fragilità di sceneggiatura (che coinvolgo anche un villain dalle motivazioni abbozzate e un co-protagonista schizofrenico per gamma di emozioni) Samaritan non se la cava meglio neppure negli altri reparti. Le maggiori criticità le mette in mostra proprio nelle scene di lotta, quando continui stacchi di montaggio e una fisicità a tratti imbarazzante sembrano voler nascondere a tutti i costi una triste verità: che forse Sylvester Stallone inizia a non averne più e che il peso degli anni gli impedisce di rendersi credibile in determinate circostanze action.

Il tentativo della star del regista Julius Avery (Son of a Gun, Overlord) di offrire un’alternativa di spessore all’universo dei cinecomic è quindi un fallimento: spento, confuso, deficitario, Samaritan pecca anche di quella originalità e inventiva che gli avrebbero permesso di farsi degnamente notare come altri film sul tema come Hancock, Chronicle, Lucy (con tutti i suoi difetti) o la trilogia di M. Night Shyamalan iniziata con Unbreakable, proseguita con Split e terminata con Glass. Un’insipienza tutt’altro che manichea, perché Samaritan in fin dei conti non è né buono né cattivo, ma anche né carne né pesce.

Foto: MovieStills

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