Rebel Moon – Figlia del Fuoco: il mediocre copia, il genio ruba. La recensione del film di Zack Snyder

Su Netflix è disponibile la prima parte della nuova opera sci-fi dell'amato e odiato regista, che qui ha deciso di farsi uno Star Wars tutto suo

Rebel Moon – Figlia del Fuoco: il mediocre copia, il genio ruba. La recensione del film di Zack Snyder

Su Netflix è disponibile la prima parte della nuova opera sci-fi dell'amato e odiato regista, che qui ha deciso di farsi uno Star Wars tutto suo

rebel moon figlia del fuoco recensione
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Zack Snyder colpisce ancora. Se nel segno o in faccia, questo probabilmente è un giudizio di valore che spetta ai suoi fan o detrattori deciderlo. Nessuno come lui, nel corso degli ultimi vent’anni, ha saputo polarizzare il grande cinema commerciale: qualsiasi cosa faccia, egli crea istantaneamente una spaccatura tra critica e pubblico, ma pure tra pubblico e pubblico a volte. È stato così dai tempi di Watchmen in avanti, con particolare enfasi nel suo periodo alle prese con i film del DC Universe e ora la “faida” è ripartita per Rebel Moon – Parte 1: Figlia del Fuoco.

Disponibile su Netflix dal 22 dicembre 2023, tutto quello che vi diranno è che è: il suo personale Star Wars (ma «con sesso e violenza» ha precisato lo stesso Snyder), un’opera infarcita di rimandi e riferimenti ad altri immaginari e via dicendo. Impossibile non notarne le somiglianze, anche perché è lo stesso soggetto di base ad essere stato pensato proprio per un potenziale capitolo della saga di Guerre Stellari mai andato in porto. In un’altra galassia lontana lontana, il Mondo Madre è il nuovo Impero galattico che conquista e distrugge incontrastato. Le sue mire si posano ora sul pianeta agricolo Veldt, dove l’ammiraglio Atticus Noble (Ed Skrein) si reca in cerca dei ribelli che minacciano il potere costituito dal senatore Balisarius (Fra Fee).

Le forze imperiali se la prendono tuttavia con la proverbiale persona sbagliata, in questo caso Kora (Sofia Boutella), una contadina dal passato misterioso che sembra avere un conto aperto con il Mondo Madre. Quando la situazione precipita, lei e Gunnar (Michiel Huisman) decidono di partire per cercare i migliori guerrieri della galassia per resistere al gioco dell’impero, ribellarsi e conquistare la propria libertà. È così che iniziano a reclutare il pilota Kai (Charlie Hunnam), l’ex principe Tarak Decimus (Staz Nair) la guerriera solitaria Nemesis (Doona Bae) e il Generale Titus (Djimon Hounsou), per poi puntare al bottino grosso e portare dalla loro anche i ribelli guidati dai fratelli Bloodaxe (Ray Fisher e Cleopatra Coleman).

Come detto, fermando la riproduzione di Rebel Moon in un qualsiasi punto, si possono ritrovare almeno 3-4 riferimenti ad altri rinomati franchise, ma anche titoli che hanno segnato la storia del cinema e volendo anche influenze videoludiche. C’è Star Wars, ovviamente, ma l’ispirazione principale è forse I sette samurai di Akira Kurosawa, film del 1954 che ha saputo influenzare anche il genere western (I magnifici sette) e del quale curiosamente esiste già una versione sci-fi, ovvero I magnifici sette nello spazio del 1960. Oltre alla saga di George Lucas, però, ci sono rimandi a tutto il grande immaginario fantascientifico letterario della metà del XX secolo: c’è Dune, c’è il ciclo di Fondazione di Asimov, ma ci sono anche dettagli che ricordano il mondo dei videogiochi (Halo su tutti).

L’opera di Zack Snyder è quindi estremamente derivativa, ma questo di per sé non può costituire un vero e proprio problema. Lo stesso Star Wars era un concentrato di titoli che hanno ispirato George Lucas, compreso lo stesso Kurosawa di La fortezza nascosta. Il regista di 300 e Watchmen, in sostanza, si è limitato a fare quello che hanno fatto molti grandi prima di lui: rubare qua e là per costruire un proprio immaginario quanto più familiare possibile ma allo stesso tempo originale. Non è forse un caso che Rebel Moon arrivi in un periodo in cui le grandi saghe sci-fi sono in un momento di transizione. Star Wars per ora è relegato al piccolo schermo tra alterne fortune, mentre il quarto film di Star Trek è andato quasi per disperso. Come fatto due anni fa con Army of the Dead (QUI la nostra recensione), Snyder ha tentato di riempire il vuoto con una propria proposta che non si discosta troppo da quello che già conosciamo, sperando di imporsi grazie alla forza della propria visione artistica. E questa sì è, ormai, è un problema.

Perché se è vero che il mediocre copia e il genio ruba, Zack Snyder è stato geniale nel prendere qua e là da tutti, ma allo stesso tempo ha copiato se stesso nel peggior modo possibile. Non è da tutti avere uno stile registico e visivo immediatamente riconoscibile, ma quello di Snyder è diventato ormai una macchietta, materiale da meme, una copia di una copia di una copia di sé stesso che lui stesso ritiene possa essere applicata a qualsiasi cosa. Non importa si stia raccontando di spartani, personaggi dei fumetti, gufi parlanti o apocalissi zombie, la ricetta di Zack Snyder è la stessa per tutto: alzare a palla il livello di (presunta) epica, andarci giù forte con lo slow motion e patinare il tutto con una fotografia che regala wallpaper a ripetizione.

L’ha usata in quasi tutti i suoi precedenti film (salvo il debutto L’alba dei morti viventi) e giustamente non ha visto un motivo valido per non applicare per questo kolossal sci-fi che Netflix gli ha regalato. Ma neppure lui, che pure può contare su una fanbase al limite del fanatico, è immune allo scorrere del tempo e alla ripetitività. Zack Snyder soffre della stessa sindrome che ha colpito Wes Anderson, si è chiuso totalmente in se stesso e punta a riciclarsi ad ogni occasione, rifiutando di correggere il tiro su possibili difetti ma anzi acuendoli ancora di più. È così che Rebel Moon diventa un concentrato di scene epiche una dopo l’altra che, di conseguenza, perdono singolarmente valore; un film con personaggi talmente abbozzati da risultare impossibile qualsiasi legame o interesse empatico (l’inutilità del personaggio di Djimon Hounsou è, per il momento, cosmica); un’opera eccessivamente legata alla sua idea distributiva, tanto da allungare il brodo il più possibile e proporsi come un lunghissimo primo episodio di una mini-serie.

Si può sorvolare quindi su quanto post-modernista sia Rebel Moon, perché in fin dei conti è quello che hanno fatto tutti prima di lui, ma l’averlo reso un film con pretese di epicità ma uno sviluppo claudicante e soporifero, è del tutto imputabile alla visione reiterata e stantia del suo autore. “L’attacco dei cloni” di Zack Snyder per ora (la seconda parte, La Sfregiatrice, arriverà il 19 aprile) non ha il potenziale di imporsi nel grande immaginario collettivo. Ribelle ma non troppo, Star Wars ma comprato su Wish.

Foto: Netflix

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