Il nuovo corso Disney ha organizzato un altro viaggio indietro nel tempo, questa volta sull’Isola che non c’è. Il 14° Classico uscito nel 1953, Le avventure di Peter Pan, è diventato invece il 17° remake uscito nel corso dell’ultimo decennio e – a modo suo – conferma la tendenza della Casa di Topolino a rileggere in maniera diversa i propri mostri sacri in maniera più o meno stravolgente rispetto al relativo periodo d’uscita.
I cartoni animati più vicini al nostro tempo, come Aladdin e Il Re Leone e hanno subito tutto sommato pochi rimaneggiamenti dal punto di vista narrativo. Qualche dettaglio, alcune istanze più moderne soprattutto nella rappresentazione femminile, ma in buona sostanza sono rimasti parenti stretti delle loro corrispettive versioni animate. Diverso invece il discorso quando la forbice temporale si apre.
Per film come Alice in Wonderland (il primo a inaugurare, nel 2010, questo lungo periodo di rivisitazione in chiave live-action), Dumbo e ora questo Peter Pan, invece, si è dovuti intervenire a più livelli. È per questo che il nuovo adattamento diretto da David Lowery sembra così distante dall’originale cartone dei primi anni ’50 e la storia è ritoccata per andare incontro a due fondamentali esigenze. La prima è quella di costruire un film meno episodico nella struttura rispetto al Classico, la seconda invece si può sintetizzare in quello che sembra essere il nuovo slogan Disney: “Mai più cattivi tanto per“.
Peter Pan & Wendy si apre come una copia-carbone del cartone animato, ma ben presto diverse sia nel racconto che nella costruzione dei suoi personaggi. Tolte alcune sequenze improponibili ai giorni nostri – su tutte, quella degli indiani pellerossa, nonostante sia stato trovato (poco) spazio per Giglio Tigrato – al nuovo adattamento non restava che concentrarsi su altri aspetti. Da un lato è stata portata in piena luce la figura di Wendy Moira Angela Darling, in piena linea con il percorso di emancipazione dei personaggi femminili dell’universo Disney, dall’altro il grande salto lo compie Capitan Uncino.
Lo “stoccafisso” interpretato da Jude Law ha molto in comune con la versione originale, punta a incutere lo stesso timore, ma allo stesso tempo gli viene dato un passato, una storia e delle motivazioni completamente nuove. Come capitato per la Malefica di Angelina Jolie e la recente Crudelia di Emma Stone, alla Disney (ma il trend è ripreso anche dai film Marvel) non sembra interessare più una distinzione netta tra eroi e cattivi. Ogni villain riproposto di recente è stato invece umanizzato, approfondito drammaturgicamente in modo da poter dare al pubblico un appiglio empatico nei suoi confronti.
Il rischio è quello di sfumare eccessivamente i colori del dramma, che non deve essere tutto bianco o nero ma neppure di un grigio opaco. La storia del legame fraterno tra Peter Pan e Uncino, ora più che mai nemiciamici, è ciò che distingue meglio questo nuovo live-action, ancor più che per la presenza di una Trilli Campanellino nera o altre scelte di casting che poco inficiano il risultato finale – «Non siete tutti ragazzi, immagino che non abbia importanza» dice abbastanza manifestamente la Wendy interpretata da Ever Anderson (figlia di Milla Jovovich e Paul W.S. Anderson) quando conosce i Bimbi e le Bimbe Sperdute, tra i quali spicca anche il primo attore con sindrome di Down in un live-action Disney (Noah Matthews Matofsky).
Questo nuovo adattamento si prende più libertà di altri, ma come era stato per Dumbo la necessità di colmare alcuni vuoti narrativi è diventata una virtù. Peter Pan & Wendy, per certi versi, ha più in comune con un piccolo gioiello cult come Hook – Capitano Uncino di Steven Spielberg che col Classico del 1953, ma nonostante questo la magia dell’Isola che non c’è e i tanti elementi che hanno reso il cartone così amato ci sono ancora, cuciti tra le pieghe di una storia con sensibilità e intenti nuovi, più profonda e con un finale a suo modo sorprendente.
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