Past Lives e l’inesauribile nostalgia del primo amore. La recensione dalla Festa del Cinema di Roma

Il film di Celine Song, dopo la grande accoglienza a Berlino e New York, è stato presentato nella sezione “Perle” del festival basco di San Sebastián e in quella Best of 2023 della Festa del Cinema di Roma

Past Lives e l’inesauribile nostalgia del primo amore. La recensione dalla Festa del Cinema di Roma

Il film di Celine Song, dopo la grande accoglienza a Berlino e New York, è stato presentato nella sezione “Perle” del festival basco di San Sebastián e in quella Best of 2023 della Festa del Cinema di Roma

past lives

Nel finale di Past Lives di Celine Song, che ovviamente non vi riveliamo, passa quasi un minuto prima di sapere se l’ipotesi di un bacio si trasformerà in un bacio o in un addio. Quel tempo sospeso tra due sguardi, tra due silenzi, nell’assestamento di due corpi in cerca di un movimento, raramente è stato raccontato – cioè preparato e poi espresso – così bene nel cinema contemporaneo. È l’ultimo bagliore di un film pieno di luci e parole, il centro di un quadrato ai cui vertici stanno una donna, due uomini e il fascino di New York (città-traguardo per eccellenza, esito di un’esistenza, sogno).

Come Na Young, la protagonista del suo film, Celine Song è un’artista di origini sudcoreane trapiantata in America, e non è difficile intuire una componente autobiografica nel languore di Nora, il nome con cui la ragazza reinventa se stessa una volta trasferita nella Grande Mela. Qui, durante un laboratorio per giovani scrittori, conosce Arthur, un ragazzo ebreo minuto e generoso. I due si piacciono e poi addirittura si sposano, ma più per garantire a lei una green card che per reale convinzione. Quello che non passa è il ricordo di Hae Sung, il primo amore, il bambino con cui condivideva corse e nascondigli nei parchi di Seul.

Ogni dodici anni una svolta: la partenza di Na Young appena adolescente, un fugace incontro informatico, infine il viaggio di Hae Sung a New York, quando Nora ormai vive a Manhattan con il marito, con cui condivide un appartamento caldo e discreto. Ma l’intesa non è passata e l’aggettivo che usa per raccontare ad Arthur il suo primo amore è lo stesso che usava con la madre vent’anni prima: mascolino. È questo il “breve incontro” (per citare il film di David Lean) che Past Lives racconta con partecipata tenerezza (e uno scaltro approccio fotografico). Due pomeriggi e una sera in cui fare i conti con presente e passato, traguardi raggiunti e responsabilità sentimentali – verso gli altri, verso se stessi.

L’amore pensato, l’amore sfiorato: come in Dieci inverni di Valerio Mieli, per i due ragazzi di Seul è sempre troppo presto o troppo tardi. Nella vita di quasi tutti c’è stata una storia così ed era forte il rischio del cliché, invece Celine Song ha misura nello sguardo e delicatezza di scrittura, così finisce che intercetta quella malinconia universale che ha fatto grande la trilogia cult di Linklater (Prima dell’alba, Prima del tramonto, Prima di Mezzanotte) e che è in fondo una delle forme stesse di New York: delle sue origini disperse nel mondo, dei suoi precoci invecchiamenti e dei suoi slanci verso il futuro. Past Lives ha tutto questo: trasforma la banalità in bellezza con strumenti semplici e grande intelligenza.

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