Mission: Impossible, la fine può attendere. La recensione di Dead Reckoning Parte Uno

La nuova avventura di Ethan Hunt / Tom Cruise è un concentrato di adrenalina che ribadisce il suo strapotere nell'industria

Mission: Impossible, la fine può attendere. La recensione di Dead Reckoning Parte Uno

La nuova avventura di Ethan Hunt / Tom Cruise è un concentrato di adrenalina che ribadisce il suo strapotere nell'industria

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PANORAMICA
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Tom Cruise è tornato. Ad un anno di distanza da Top Gun: Maverick, con il quale ha enormemente contribuito al rilancio delle sale dopo l’epoca pandemica – tanto da meritarsi il titolo di “salvatore del cinema” – , la grande star è tornata a fare quello che sa fare meglio: costruire un film attorno alle sue folli acrobazie. Mission: Impossible – Dead Reckoning Parte Uno è in tutto e per tutto ancora una volta espressione delle intenzioni spettacolarizzanti del suo indiscusso protagonista, uno che la Paramount aveva provato a mettere alla porta circa quindici anni fa.

Oggi la vera missione impossibile è proprio pensare ad un nuovo capitolo di questa saga adrenalinica senza il suo nume tutelare, senza l’ingombrante personalità che da quasi 30 anni punta a portare le avventure di Ethan Hunt e se stesso oltre la sfera del possibile. Eppure, nel 2006, dopo l’uscita di Mission: Impossible III diretto da J.J. Abrams, la major era pronta a disfarsi della star di Hollywood, diventata troppo problematica da gestire, soprattutto per via dei suoi legami con Scientology e alcune uscite non proprio facili da gestire – ai tempi, oggi nell’epoca dei Kevin Spacey, Ezra Miller, Johnny Depp e Jonathan Majors sembrano bazzecole.

Con l’uscita di Protocollo fantasma, nel 2011, avevano anche provato a imbastire il cambio al vertice: fuori Tom Cruise, dentro Jeremy Renner. Il successo del film e lo status dell’interprete di Ethan Hunt però hanno reso impossibile privarsi del suo carisma e soprattutto del suo strapotere produttivo. Una ne pensa e cento ne fa, questo Cruise. E questo Dead Reckoning Parte Uno è l’ennesima dimostrazione che nessuno come lui è in grado di trascendere i solitamente delicati equilibri produttivi che stanno dietro alla creazione di un film.

Il 61enne attore, in maniera simile a quanto fatto da Vin Diesel con la saga di Fast & Furious, ha trasceso queste logiche e ha reso ogni nuovo film di Mission: Impossible un evento da seguire non per la sua proposta narrativa, ma per quello che è in grado di offrire in termini meta-cinematografici. Spesso, nel mondo del giornalismo e della critica, c’è la pigra tendenza a cedere alla formula del “film di” e non del “film con” una determinata star, ma ogni Mission: Impossible in realtà è ormai a conti fatti un film DI Tom Cruise, una storia fittizia atta a giustificare la “mattata” di turno del suo protagonista.

Beninteso, la parte narrativa è comunque molto curata: questo Dead Reckoning, anzi, si impone come uno dei film più intriganti del franchise, per la sua maniera di coniugare minacce passate (Esai Morales interpreta l’uomo che ha ucciso Sarah Davies nel primo storico capitolo) e presenti (il villain è un’intelligenza artificiale diventata senziente e i cui scopi finali ancora non sono chiarissimi). Ethan Hunt è chiamato a recuperare due misteriose chiavi collegate proprio a questa misteriosa AI e la missione lo porta nei deserti dell’Arabia Saudita, a Roma, Venezia e infine tra le Alpi.

Gli elementi canonici della saga ci sono tutti, comprese le riprese in location-cartolina che sono un must sin dai tempi della serie tv degli anni ’60. Non solo: Christopher McQuarrie, regista degli ultimi tre capitoli e all’ottavo sodalizio con Tom Cruise, sorprende con una regia fatta di piani stretti, inquadrature oblique e ricorrendo ad un montaggio a tratti anomalo, fatto di tempi lunghi, un uso fantasioso della regola dei 180° e altre chicche che da un lato straniscono e dall’altro invece danno interesse visivo alle scene di raccordo tra un’azione e l’altra. Il vero punto di interesse però sono naturalmente loro, gli stunt messi in piedi da e per Tom Cruise: la scena negli ultimi mesi se l’è presa il salto con la moto da una montagna con paracadute aperto a circa 150 mt da terra, ma non è l’unica sequenza elettrizzante. Tutta la parte finale, altrettanto curiosa per ritmo e gestione della grammatica, è pura goduria per i fan degli action movie.

Dead Reckoning Parte Uno, al netto di una eccessiva diluizione del tempo e della trama dovuta alla sua natura “seriale”, è comunque promosso a pienissimi voti e con lui l’idea di cinema che Tom Cruise è più che mai determinato a portare avanti. La star riesce nuovamente ad annullare la distanza tra lo spettatore e lo schermo, a restituire magia e stupore all’esperienza cinematografica tremendamente danneggiata dal mondo dello streaming, che ha modificato le abitudini e la soglia d’attenzione del pubblico. Tom Cruise invece ci vuole lì, incollati alla sedia, a percepire fisicamente la differenza tra una scena in CGI e qualcosa di realmente accaduto ed eseguito dall’interprete.

La saga di James Bond, come quella di Fast & Furious, sono altre realtà che certamente puntano a coniugare gli stessi elementi action-thriller in film evento che vadano oltre la semplice storia, ma a nessuno come Tom Cruise questo giochino riesce alla perfezione. MQuarrie ha già promesso che in Dead Reckoning Parte Due (la cui uscita nel 2024 è minacciata ora dal doppio sciopero sceneggiatori-attori) vedremo lo stunt più folle della carriera della star e come pubblico, fan, giornalisti, critici e amanti della Settima Arte l’unica cosa possibile da dire è: non vediamo l’ora.

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Foto: MovieStills

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