Sic gorgiamus allos subjectatos nunc, ovvero «con delizia banchettiamo di coloro che vorrebbero assoggettarci». Sin dal motto in latino maccheronico, il disegnatore Charles Addams ha sempre messo bene in chiaro quale fosse il valore fondante dietro alla sua stramba Famiglia: l’anti-conformismo, un tema ripreso anche nei nuovi episodi della serie Mercoledì, prodotta e in parte diretta dal più anti-conformista di tutti, Tim Burton.
Arrivati su Netflix a partire dal 23 novembre 2022, gli otto episodi con protagonista Jenna Ortega nei panni della cupa adolescente figlia di Morticia e Gomez Addams sono al tempo stesso un tentativo di rinnovare un franchise quasi secolare e un modo per riannodare passato e presente attorno a temi sorprendentemente simili. Nelle settimane prima dell’uscita, la narrazione attorno alla serie si è poggiata molto sul concetto di outsider rilanciato da Tim Burton, quello “strano” per eccellenza, ma questo è forse l’unico caso nella sua carriera in cui ha messo le mani su qualcosa che non aveva bisogno del suo tocco.
Bisogna tornare indietro a metà degli anni ’60 per capire l’impatto culturale che la Famiglia Addams ha avuto sul pubblico televisivo e la cultura popolare americana. La prima trasposizione delle vignette di Charles Addams pubblicate a partire dal 1938 è arrivata in un contesto legislativo molto stringente in materia di cosa si potesse o non potesse vedere in televisione. Il Codice Hays vietava per esempio qualsiasi riferimento al sesso, effusioni, i letti dovevano essere sempre separati e tutto doveva essere votato ad un intento educativo e di morigeratezza. Poi, sono arrivati loro: i lugubri, mortiferi, gotici Addams.
L’importanza della loro famiglia è stata messa al pari dei Roosevelt e dei Kenney: Morticia stessa è diventata un’icona del XX secolo, un personaggio di totale rottura rispetto ai canoni casalinghi nei quali venivano relegate le donne del tempo. Tutti aspetti che li hanno assurti ad emblema dell’anti-conformismo attraverso serie tv, cartoni animati, i due film di Barry Sonnenfeld con Christina Ricci e uno sconfinato assortimento di prodotti e riferimenti popolari che vanno dallo stile in nero all’iconica musichetta.
La premessa storica serve a capire perché, con Mercoledì, Tim Burton e gli altri hanno avuto sostanzialmente vita facile: il regista di Beetlejuice e Sweeney Todd si è tenuto lontano da quegli eccessi che ne hanno minato in parte la carriera, quelle “timburtonate” che nell’ultimo decennio o più lo hanno reso paradossalmente un outsider del suo stesso stile. Nella serie Netflix si è (si sono: ha diretto solo quattro episodi e lo show è ideato da Alfred Gough e Miles Millar) limitato a sfruttare le caratteristiche naturali del franchise e dargli una rispolverata.
Il risultato è una serie che più che sull’onda dei vecchi film della Famiglia Addams sembra voler rifarsi a recenti prodotti come Sabrina, altro teen drama derivativo uscito su Netflix negli scorsi anni. La vita alla Nevermore Academy di Mercoledì, però, ha anche il piacevole pregio di stuzzicare le corde della nostalgia dei fan di Harry Potter: le lezioni, le amicizie per i corridoi, i misteri che sembrano mettere sempre al centro la cadaverica protagonista, sono gli stessi ingredienti alla base dei romanzi di J.K Rowling – con un tocco goth in più.
Purtroppo, proprio il contesto adolescenziale e l’abbassamento del target di riferimento hanno fatto sì che dietro ad un buon impianto teen si nascondano le solite fisiologiche fragilità di scrittura. Mercoledì è talmente limitata nei luoghi e nei personaggi che la componente thriller, per un pubblico attento e abituato a questo genere di prodotti, si esaurisce velocemente e il mistero diventa facilmente leggibile, meno sorprendente e con un finale fin troppo votato al magico.
Spicca, con merito, Jenna Ortega: rispetto alla versione di Christina Ricci, ha avuto più tempo e spazio per rendere meno bidimensionale la sua Mercoledì, ora vera protagonista della storia in grado di staccarsi dal ruolo di “ragazza macabra che pensa solo agli omicidi”. Questa adolescente è invece consapevole delle sue difficoltà sociali, conscia dei suoi interessi e di quali compromessi intenda o meno fare per “essere normale”. Fortunamente, però, il contesto post-millenials in cui è ambientata la serie rende superflua la domanda: questi sono gli anni in cui poter abbracciare le proprie differenze, in cui vivere e viversi in piena autonomia senza sentire il peso delle imposizioni sociali. Tutti strani, tutti emarginati uno per uno, e finalmente siamo tutti uguali.
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