Memory, storia di chi non ricorda e di chi vuol dimenticare: la recensione del film con Jessica Chastain

Due anni dopo Sundown, il regista messicano Michel Franco torna in concorso con un dramma intenso che non fa sconti

Memory, storia di chi non ricorda e di chi vuol dimenticare: la recensione del film con Jessica Chastain

Due anni dopo Sundown, il regista messicano Michel Franco torna in concorso con un dramma intenso che non fa sconti

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A Michel Franco non piacciono i soggetti banali: come dichiarato nella conferenza stampa che ha anticipato la première del suo nuovo film Memory all’80° Mostra del Cinema di Venezia, per lui il cinema non deve essere solo intrattenimento e, anzi, quello che cerca è di mettere lo spettatore di fronte a situazioni scomode, che lo spingano a confrontarsi con traumi e paure

Due anni dopo Sundown, sempre presentato in concorso alla kermesse lagunare, anche questa volta al centro c’è una crisi esistenziale. Sylvia (una sempre credibile Jessica Chastain) è una madre che arranca nella vita trascinandosi come zavorre ai piedi i traumi del proprio passato. Sobria da 13 anni, è una madre fin troppo presente nella vita della figlia e lavora in un centro diurno per adulti con problemi mentali. Le porte sul proprio passato si riaprono quando viene seguita fin sotto casa da Saul (Peter Sarsgaard), che Sylvia teme abbia brutte intenzioni fin quando non scopre che in realtà l’uomo soffre di demenza e non ricorda neppure come sia finito lì.

A complicare le cose, tuttavia, c’è il fatto che Sylvia rivede in lui uno dei possibili protagonisti al negativo di un episodio che l’ha segnata e forse rovinata per sempre quando era bambina. Tra i due si instaura un rapporto complicato: le loro differenze rappresentano un iniziale ostacolo all’empatia reciproca, ma col tempo è proprio la possibilità di vedere l’uno nell’altro persone scollegate dal proprio passato ad avvicinarli in maniera inaspettata. Lui non riesce a ricordare, lei vorrebbe solo dimenticare: due prospettive diverse sul tema della memoria che diventano centrali nel dramma di Michel Franco.

Rispetto ai titoli più recenti della sua produzione artistica, ovvero Nuevo Orden (Gran premio della giuria a Venezia 77) e il già citato Sundown, nel caso di Memory la novità è che per i personaggi sembra essere possibile una forma di salvezza, di superamento dei proprio traumi e una rinascita solitamente negata ai suoi protagonisti, ritratti nel pieno delle proprie crisi e senza via di scampo. Una sorta di Quasi amici in chiave romantica e insieme tremendamente cinica, che talvolta perde di efficacia ma mai di interesse e di sfumature psicologiche.

Quello che Franco sa fare meglio, ciò che rappresenta il punto di forza della sua visione registica e che lo rende particolarmente apprezzabile, è il modo in cui affronta gli aspetti più crudi e drammatici delle sue storie: fisica o verbale che sia, la violenza viene sempre ritratta da una certa distanza, con una certa freddezza straniante per modalità di ripresa ma non per intensità. In Nuevo Orden è stato così per gli omicidi avvenuti durante la rivolta armata di Città del Messico, mentre in Sundown una certa narcotizzazione alla violenza era il tratto peculiare del protagonista interpretato da Tim Roth.

Con Memory, Franco lascia da parte la rappresentazione grafica degli orrori per concentrarsi su paure passate, presenti e future. La scena madre nella quale Jessica Chastain libera tutto il peso drammaturgico trattenuto fino a quel momento, si inserisce perfettamente nella sensibilità artistica di un regista poco interessato a far accomodare lo spettatore e anzi impegnato a stimolarlo. 

Meno oscuro, addirittura dolce nella sua tragicità romantica, Memory è il racconto su due vite incapaci o riluttanti a conformarsi alle aspettative e perse nelle maglie della società. Un approccio che apre a nuove prospettive per il futuro della carriera del regista, uno degli sguardi autoriali più interessanti di questi anni.

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Foto: Teorema 

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