The Aeronauts, il film presentato alla Festa di Roma che racconta la vera storia di Amelia Wren e dell’ambizioso meterologo James Glaisher, che nel 1862 partirono per un viaggio incredibile in mongolfiera, è ispirato a una vicenda realmente accaduta e ha permesso al regista, Tom Harper, di riportare insieme sul grande schermo le due star de La teoria del tutto, Felicity Jones ed Eddie Redmayne.
Siamo nella metà dell’Ottocento, in una Londra vittoriana in cui ci viene sottolineata la coesistenza dell’aria e della terra: il cielo inglese sterminato da un lato e la capitale inglese che si estende a perdita d’occhio nel suo incessante brulichio industriale e popolare dall’altro. Guardando The Aeronauts, prodotto hollywoodiano prevedibile e lineare nel suo sentimentalismo sempre sull’orlo del precipizio e della catastrofe, approfondiamo e scopriamo sempre più da vicino le imprese dell’abile pilota Amelia e dello scienziato James, intenti a spingere la possibilità del volo dell’essere umano verso vette e alture mai toccate prima da anima viva, alla soglia dei 12mila metri.
Una storia di limiti da superare e di soglie da varcare, dunque, con quel coefficiente di dramma e difficoltà che in operazioni cinematografiche di questo tipo torna senz’altro sempre utile. Guardando, con i dovuti e inevitabili distinguo, sia alla lezione di Titanic che a quella del più recente Gravity, The Aeronauts si muove al confine tra pathos e disperazione, inanellando sequenze turbinose ad alto tasso spettacolare e una dimensione quasi da survival movie, in cui il gelo e l’altezza diventano i principali e più agguerriti nemici per quest’uomo e questa donna così bizzarri e pionieristici per i loro tempi, sotto certi aspetti, impomatati e angusti.
“Siamo creature destinate al piano orizzontale, a vivere coi piedi per terra, eppure – e perciò – ispiriamo a elevarci”: sono parole di Julian Barnes, uno dei massimi scrittori britannici contemporanei, e del suo eccezionale Livelli di vita, in cui il tema del volo era la lente attraverso cui immortalare la struggente e inesausta tensione vitale dell’essere umano e il suo costante bisogno d’innalzarsi e di fluire attraverso ciò che è aereo, inorganico, insondabile, imprendibile. I protagonisti di quel libro, Fred Burnaby, la “divina Sarah Bernhardt e Félix Tournachon, il vignettista e fotografo noto come Nadar, non a caso non potevano prescindere dalla mongolfiera e dal suo fascino eterno.
The Aeronauts, film col quale Amazon Studios punta direttamente alla prossima stagione dei premi, a tale indagine intima e filosofica del volo preferisce un approccio più classicheggiante e una vena più ludica e informativa, lasciandosi sospingere tanto dalla ricostruzione da film in costume quanto dalla dialettica tra l’ebbrezza di Amelia, con tanto di perdita di un precedente marito a gravare sulle spalle, e la scrupolosità di James, che con il suo lavoro ad alta quota portò alla nascita della moderna nozione di meteorologia.
Le loro interpretazioni, per quanto esplicitamente sopra le righe in chiave patetica (soprattutto Redmayne, in verità abbonato a questo tipo di eccessi), sono funzionali al disegno complessivo e si amalgamano bene con la spettacolarità dell’impianto visivo, vero punto di forza dell’operazione al netto di più di un cedimento di credibilità e di una celebrazione dell’eroismo che funziona meglio sul versante pionieristico che su quello romantico.
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