Dominic Toretto e i suoi sono ufficialmente entrati nell’endgame: un’espressione che rimanda ovviamente al capitolo finale della Fase 3 del Marvel Cinematic Universe, ma torna utile per raccontare anche il primo degli ultimi capitoli della saga iniziata nel 2001 e diventata col tempo un faro nella notte per il grande cinema blockbuster non (del tutto) a tema supereroistico. Fast X, nel bene e nel male, è la prima parte di un’ultima corsa che sotto il cofano può contare sulla potenza dei suoi elementi chiave: auto e famiglia.
Sono queste le coordinate che da sempre (e per sempre) indicano la via da seguire al personaggio interpretato da Vin Diesel, al punto da diventare quasi materiale da meme per la loro inevitabile ripetitività. Nel decimo e penultimo – terzultimo, anzi, stando a quanto si è fatto scappare la star protagonista – capitolo della saga, ritroviamo il gruppo in un raro momento di pace: Roman, Tej, Han e Megan stanno per partire per una missione per Roma per conto dell’agenzia, mentre Dom e Letty possono godersi la vita domestica e la prospettiva di allargare ancora di più la famiglia.
Le cose precipitano alla svelta. A casa Toretto si presenta la nemica di un tempo, Cipher (Charlize Theron), portatrice di un messaggio: il diavolo sta venendo a prendere Dominic e ha le sembianze di Jason Momoa, qui interprete di Dante Reyes, figlio del villain del quinto film uscito nel 2011, quando ancora il volto protagonista della saga assieme a Vin Diesel era il compianto Paul Walker. Inizia quindi un macchinoso giro per il mondo il cui solo scopo è salvarsi la pelle contro un maniaco deciso a tutto pur di regolare i conti.
Rispetto ad altri film del franchise, Fast X fa un passo indietro sul fronte heist movie a 100 ottani: a parte la pretestuosa missione iniziale, questa volta non si tratta di salvare il mondo ma se stessi. Una questione personale che non impedisce di trovare pretesti action spettacolari, come la quasi distruzione di Roma o nuovi momenti che fanno fare un ulteriore passo avanti alla saga nel territorio dell’incredibile, del sovrannaturale. Nulla probabilmente batterà la Pontiac Fiero portata nello spazio in F9: The Fast Saga, ma la linea che divide Fast & Furious dai cinecomic si assottiglia sempre più.
Innanzitutto per impatto commerciale nel mondo del cinema: la saga iniziata nel 2001 come un “semplice” film di corse in auto è forse l’unico grande franchise che ha risposto colpo su colpo ai film dell’universo Marvel che hanno sbancato il botteghino negli ultimi 15 anni. Dai 207 milioni del primo (su un budget di 38), con nove film e uno spin-off ha incassato per ora 6 miliardi e 617 milioni di dollari, con il record di 1.5 miliardi detenuto da Fast & Furious 7 del 2015, quello uscito a cavallo della tragica morte di Paul Walker. Il franchise, insomma, è un successo cinematografico assoluto, senza dubbio.
Forte di questo successo, ha iniziato a spingere su quello che ai fan è sempre piaciuto: fenomenali scene d’azione che trascendono qualsiasi senso logico e legge della fisica. Dominic Toretto (e qui torna di nuovo utile il paragone con Avengers: Endgame) è ormai considerabile alla stregua di un supereroe, di un Captain America imbattibile, che solleva macchine con una mano sola (al contrario) e la cui auto sembra progettata per resistere anche ad un esplosione nucleare – con buona pace del frigorifero di Indiana Jones. L’assoluta mancanza di verosimiglianza non va però letta come una pecca o un’esagerazione: è ciò che la saga di Fast & Furious ha deciso di fare e di dare al pubblico e, di conseguenza, continua a farlo in maniera soddisfacente.
I problemi in Fast X stanno quindi da un’altra parte: il cambio in corsa di registi da Justin Lin a Louis Leterrier ha pesato poco in termini di adrenalina e coinvolgimento, ma probabilmente non ha aiutato a tenere insieme i pezzi di una storia alla quale mancano decisamente alcuni connettivi logici. La squadra è divisa, deve riunirsi, Dom insegue lo scatenato villain di turno ma nei suoi passaggi chiave si avverte una certa farraginosità che non aiuta il pubblico a ritrovarsi. Saltare da un ponte con due elicotteri attaccati alla portiera dell’auto è qualcosa che può facilmente rientrare nel campo della sospensione dell’incredulità esperienzialmente richiesta dalla saga, ma i motivi per cui i personaggi fanno quello che fanno all’interno del mondo costituito non è sempre chiaro. O, quantomeno, non lo è nell’economia di un racconto che vuole essere essere altro che il primo passo di un gran finale che spinge forte sull’emozione e sull’appartenenza.
Sono innumerevoli le volte in cui tutto viene fatto ricondurre al senso di famiglia, al proteggersi, al cercarsi e ritrovarsi: Toretto è quasi un disco rotto sul tema, cosa che lo ha esposto al piano di vendetta di Jason Momoa – scatenatissimo nei panni di un anarchico Joker brasiliano protagonista di una scena molto cringe che lo connota come villain sopra le righe, un personaggio nei cui panni l’attore sembra divertirsi un mondo e noi con lui. Vin Diesel ci ha messo il cuore (pure troppo a giudicare dai rumor sugli screzi avuti con quasi tutti, su tutti Dwayne Johnson a Justin Lin) e la sta portando verso un gran finale che riduce tutto ai minimi termini. Auto e famiglia, vivere la vita a un quarto di miglio alla volta e tutto il resto: ingredienti semplici per un buon cinema di intrattenimento e per vivere il finale a un quarto di film alla volta.
Foto: Universal Pictures
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