CODA: il film di Sian Heder lascia un segno sul cuore troppo leggero. La recensione

Candidato a tre premi Oscar, potrebbe essere la rivelazione dell'anno

CODA: il film di Sian Heder lascia un segno sul cuore troppo leggero. La recensione

Candidato a tre premi Oscar, potrebbe essere la rivelazione dell'anno

CODA recensione
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PANORAMICA
Regia (2.5)
Interpretazioni (4.5)
Sceneggiatura (2.5)
Fotografia (3)
Montaggio (2.5)
Colonna sonora (4)

Dal 21 marzo è disponibile su Sky e Now CODA – I segni del cuore, il film di Sian Heder che potrebbe rivelarsi il vero trionfatore della notte degli Oscar 2022. Candidato a Miglior film, sceneggiatura non originale e attore non protagonista, ha tutto quello che di solito è in grado di conquistare l’Academy: una storia semplice, di cuore e ottime interpretazioni.

Remake del francese La famiglia Bélier, racconta i dilemmi di una giovane adolescente cresciuta in una famiglia di sordi. Da tutta la vita Ruby (Emilia Jones) li aiuta come interprete, ma ora sente di volere qualcosa di più: per lei è arrivato il momento di scegliere tra i doveri familiari imposti da una tutt’altro che semplice situazione e i proprio personali sogni. Ironicamente, quello che vuole fare è cantare: ha una voce magnifica, ma proprio chi dovrebbe supportarla è suo malgrado incapace di apprezzarne il talento cristallino e di assecondarne quindi i desideri.

CODA è esattamente quello che vuole sembrare: un coming of age scolastico che non ha bisogno di sembrare altro da sé, perché l’interesse è tutto nella particolarità della situazione più che nella struttura narrativa, pedissequamente riproposta. La versione americana corregge alcune storture che avevano condizionato il giudizio dell’originale francese di Éric Lartigau: i personaggi sordi di CODA sono interpretati da veri attori non udenti, perlopiù provenienti dal Deaf West Theatre fondato proprio dallo straordinario Troy Kotsur, meritatamente candidato all’Oscar.

La maggiore inclusività del cast permette quindi una diversa vicinanza fisica ed emotiva alla storia, ne legittima meglio l’espressione scenica e ne potenzia l’efficacia drammaturgica. CODA non vuole solo emulare la disabilità con intenzioni patetiche, ma al contrario normalizzarla mostrando le dinamiche relazionali di una famiglia disfunzionale ma unita. Una missione riuscita solo a metà, però.

Dall’altro lato, infatti, questa attenzione viene nuovamente filtrata tramite il punto di vista maggioritario: CODA è l’acronimo di Child of Deaf Adults (Figlio di Genitori Sordi), tutto quindi fa quadrato non attorno alle difficoltà della famiglia disabile, ma a quelle della figlia normo dotata costretta a mettere da parte – per poco – le proprie ambizioni.

CODA rischia cioè di risultare in tutto e per tutto un nuovo Green Book: così come il film di Peter Farrelly raccontava uno spaccato dell’America razzista attraverso gli occhi di un “eroico” uomo bianco, così quello di Sian Heder mette al centro una persona normale che deve fare i conti con una condizione di disabilità solo tangenziale. In entrambi i casi, quindi, il processo poietico ha messo ai margini ciò che invece sarebbe potuto legittimamente stare al centro della scena. 

Tutti questi elementi, nel bene o nel male, rendono CODA perfetto per vincere tutte e tre le categorie in cui è candidato (e non a caso le stesse in cui trionfò Green Book): una storia commovente, incasellata negli archetipi del cinema americano e che può funzionare solo perché la maggior parte del pubblico la vivrà tramite il punto di vista di Ruby. Che è tanto interessante quanto superficiale: un segno, appunto, ma non il cuore della vicenda.

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