Dal 2010, anno dell’uscita della terza e finora ultima stagione di Boris, è cambiato quasi tutto. Il linguaggio, la modalità di fruizione, il pubblico e i paradigmi: la serialità ormai di televisivo ha molto poco, ma nel mondo della settima arte sopravvive solo chi si adatta. E René Ferretti e compagnia lo hanno fatto.
Usciti in streaming su Disney+ dal 26 ottobre, i nuovi otto episodi di Boris sono stati anticipati da un carico di dubbi e perplessità che si legano a doppio nodo con alcuni temi all’ordine del giorno. Come può una serie satirica che ha fatto delle battute sporche e della dissacrante ironia la sua cifra stilistica, trovare spazio in un sistema produttivo che vive di polemiche sul politicamente corretto? Lo fa mantenendosi fedele a se stessa, restando cioè la pecora nera del gregge e prendendo a bersaglio proprio quei fenomeni tanto discussi e polarizzanti.
Ecco quindi che in Boris 4, scritta da Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico senza il compianto Mattia Torre (doverosamente omaggiato nella serie), riporta sul set René Ferretti (Francesco Pannofino nel ruolo che segna la carriera) e tutta la banda. È cambiato tutto e non è cambiato niente: c’è da girare la serie su La Vita di Gesù, alla rete si è sostituita “la piattaforma” con le sue richieste di authenticity, inclusion e politically correct imposte dal demiurgico Algoritmo, ma i vari Stanis, Corinna, Biascica e Mariano sono sempre gli stessi.
La grande abilità della serie che ha esordito nel 2007 è stata proprio quella di racchiudere tutto un mondo dentro un set: una matrioska di riferimenti meta-cinematografici e sociali, che ha dato spazio a ogni forma di esagerazione e sboccataggine, riassumendo così pregi e difetti dell’Italia tutta, con una capacità sovrumana di creare tormentoni che si mantiene costante anche nei nuovi episodi. Dai vari «Dai, dai, dai» e «Te sto a parlà de cinema, no de’ sarcicce» delle prime stagioni, si passa ad autentiche perle di comicità come pronte a entrare nel linguaggio popolare, come «ammerdu» (in ossequioso scherno al gender neutral che poco si adatta alla lingua italiana), «con la merda ci siamo comprati Spoleto» e «faccio parte di un gruppo di satanisti in area PD, per allargare un po’ il consenso».
L’intuizione di Disney+ nel riproporre una serie così auto-dissacrante può tuttavia nascondere un pericolo. Boris 4 non intende dare contro al politicamente corretto nella totalità del suo fenomeno, ma evidenziarne le storture che hanno sfigurato una linea di opinione sociale d’attualità e l’hanno ridotta alla stregua di un distopico leviatano che tutto divora e che si impone su ogni cosa.
Il politicamente corretto, termine che ormai ha assunto una connotazione dichiaratamente dispregiativa, vorrebbe nelle sue più pure intenzioni rendere conto di un mondo talmente globalizzato da aver reso anacronistiche certe sue modalità di rappresentazione e artistiche. La vera stortura nel tessuto sociale e umano non è l’attenzione rivolta adesso a minoranze di etnia, genere o orientamento, ma il fatto che per quasi un secolo di cinema certe categorie siano state escluse in primo luogo o relegate ai margini.
Questo fenomeno di “modernizzazione” dei linguaggi, però, si è scontrato con la consueta polarizzazione che contraddistingue ogni dibattito social(e). Boris e i suoi autori, da maestri della satira quali sono, ne evidenziano di conseguenza i limiti e le idiosincrasie, le potenzialità limitanti e distruttive, senza tuttavia condannarne in toto l’esistenza. Una lettura che tuttavia, potrebbe essere interpretata nel modo meno corretto nei confronti della serie stessa da chi di vive dei fantasmi del politicamente corretto per ogni cosa (in un senso o nell’altro) e non distingue l’intento della satira dalla ferrea denuncia e rifiuto politico-sociale.
Al di là di questa perplessità, che ha più a che vedere con la percezione di una certa fetta di pubblico che con la serie in sé, il ritorno di Boris resta una ventata d’aria fresca per la graffiante commedia italiana. Un nuovo e vecchio linguaggio che fa riassaporare “la poesia dei set di una volta”, ma con sferzate dissacranti sulle complessità del presente. Un connubio esplosivo, anzi… «Pepperoni».
Foto: Disney+
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