Adagio: nel nome dei padri e dei figli. La recensione del film di Stefano Sollima con Pierfrancesco Favino e Toni Servillo

Alla guida del miglior cast italiano maschile possibile, il regista italiano chiude la sua trilogia e idealmente anche il cerchio con Romanzo Criminale. Nelle sale dal 14 dicembre dopo il passaggio in Concorso all'ultima Venezia 80

Adagio: nel nome dei padri e dei figli. La recensione del film di Stefano Sollima con Pierfrancesco Favino e Toni Servillo

Alla guida del miglior cast italiano maschile possibile, il regista italiano chiude la sua trilogia e idealmente anche il cerchio con Romanzo Criminale. Nelle sale dal 14 dicembre dopo il passaggio in Concorso all'ultima Venezia 80

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PANORAMICA
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Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, cantava Antonello Venditti, innamorato di Roma tanto quanto Stefano Sollima. Il regista, esploso grazie alla serie Romanzo Criminale, a Gomorra e Suburra, è tornato nella sua città e l’ha ammantata ancora una volta di nero. Adagio, presentato in Concorso all’80° Mostra del Cinema di Venezia (QUI tutte le nostre recensioni), chiude un ideale cerchio e lo fa sfruttando i migliori talenti italiani maschili in circolazione.

In una Roma data alla fiamme e preda di continui blackout (non un elemento distopico, ma mera ispirazione di cronaca), al centro dell’azione troviamo il giovane Manuel (Gianmarco Franchini), coinvolto in quella che sin da subito sembra un’operazione molto sporca. Dovrebbe raccogliere foto e video compromettenti di un personaggio altolocato per conto di alcuni carabinieri corrotti (Adriano Giannini e Francesco Di Leva), ma cambia idea all’ultimo. Inizia così una caccia che si allarga alla sfera familiare e affettiva del ragazzo, figlio di un ex gangster della Banda della Magliana Daytona, interpretato da Toni Servillo.

Assieme a Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea, l’attore feticcio di Paolo Sorrentino compone una leggendaria triade criminale ormai ai margini delle scene. «Cani randagi nella polvere, abbandonati in un angolo a morire» li ha descritti Favino. Daytona soffre di un’apparente demenza, Pol Nìuman (Mastandrea) è diventato cieco e Cammello (lo stesso Favino) è stato scarcerato perché gli resta molto poco da vivere. Tutti e tre sono solo fantasmi di quello che erano, ma quando la guerra arriva alla loro porta nessuno si tira indietro perché il codice d’onore criminale fa ormai parte del loro Dna.

Se in Romanzo Criminale ne aveva raccontato l’alba, con Adagio Stefano Sollima si concentra invece sul tramonto della banda della Magliana, un gangster movie estremamente crepuscolare nel quale vecchie e nuove generazioni lottano tra il loro futuro. Nel nome dei padri e dei figli, quindi, dove i primi non sono assolutamente in cerca di redenzione (quasi mai possibile quando si tratta dei film del regista romano) ma non si sottraggono all’obbligo morale di garantire un futuro migliore –  o semplicemente un futuro – a chi verrà dopo di loro.

Fil rouge nella filmografia di Sollima, anche in questo caso i confini tra bene e male, tra criminalità e giustizia tendono ad assottigliarsi. Chi dovrebbe far rispettare la legge la contorce per contenerla nelle proprie furiose ossessioni, mentre chi ha vissuto tutta la vita fuori dal suo perimetro è capace di insospettabili e caparbi atti d’amore. Uno sviluppo volendo molto drammaturgicamente classico e un genere che trova nell’autore di Suburra il suo massimo fan italiano.

Adagio è a conti fatti la sua ennesima incursione nell’action thriller urbano popolato da buoni e cattivi bordeline, ma dalla sua ha una maestria tecnica impareggiabile – in Italia e non solo. Sollima ha esportato le sue fascinazioni per gli ambienti criminali (reali o distorti) anche in Soldado e in Without Remorse, film che condividono con quest’ultima opera le stesse ambiguità morali e soprattutto lo stesso ritmo. Il titolo stesso suggerisce il tempo col quale procede il racconto: siamo lontani da frenesie adrenaliniche, al contrario qui la vicenda viene raccontata come una lenta caccia tra vecchie bestie, abbastanza furbe e segnate dal tempo da non cedere a facili impulsi.

Tutto avviene in una Roma periferica mai da cartolina e soprattutto credibile in ogni suo aspetto più oscuro. Sollima sembra andare ormai con il pilota automatico quando si tratta di dirigere questo genere di storie, calarle in ambienti e situazioni che trascendono nettamente la territorialità e acquistano invece un respiro molto più internazionale, film solidi in ogni loro aspetto. E Adagio non è da meno. Gli manca forse l’acuto definitivo e stravolgente, procede con lo stesso ritmo mancando (in parte) di alzare i giri del motore e adagiandosi su un finale tanto tragico quanto classico. Poco male, però: personaggi, interpretazioni e cura formale bastano a renderlo un altro colpo sicuro per uno dei registi italiani più riconosciuto e riconoscibile nel mondo.

A QUESTO LINK TUTTI GLI ARTICOLI E LE RECENSIONI DALLA MOSTRA DI VENEZIA 

Foto: The Apartment

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