Peterloo, l’ultimo film di Mike Leigh, racconta gli eventi che ruotano intorno al famigerato massacro del 16 agosto 1819, quando un raduno pro-democratico al St. Peter’s Field di Manchester fu affogato nel sangue e troncato da una dura repressione. Circostanze che lo rendono uno degli episodi più cruenti e sanguinosi mai accaduti in Gran Bretagna, con più di un risvolto e di una ricaduta (influenzò, tra l’altro, anche la fondazione del Guardian).
Leigh, pluripremiato regista britannico e maestro del cinema inglese, ci ha regalato in più di un’occasione dei ritratti sentiti e sofferti, di rara lucidità e insieme umanissimi, della classi sociali più umili e dei loro bisogni. In quest’occasione il fulcro del discorso è la tensione dialettica tra le istanze proletarie, raffigurate tra momenti di quotidianità lavorativa e tensioni di protesta contro l’aumento della povertà, e la rappresentazione di un potere sordo e spavaldo, del quale non ci vengono risparmiati i contraccolpi più ridicoli.
La minuziosità di Peterloo, denominazione giornalistica data all’evento che riecheggia la Waterloo napoleonica e che il titolo del film riprende, è evidente e ammirevole e non stupisce che Leigh ci abbia lavorato per molto tempo, girando il film subito dopo Turner, altro period drama dedicato al celebre pittore. La narrazione si articola attraverso un cospicuo flusso di discorsi in cui riecheggiano il clima dell’epoca, restituito da un’ottima per quanto prolissa e talvolta macchinosa ricostruzione storica, e perfino il fuoco sacro della Rivoluzione Francese, consumatasi nemmeno tre decenni prima.
Eppure quella fiamma sembra già flebile, affievolita da un contesto sociale e civile nel quale emergono soprattutto politici arroccati nelle loro torri d’avorio e distanti dalle richieste della popolazione che governano e populisti ante-litteram, decisi ad arringare le folle nella maniera più arruffata e approssimativa possibile. Ed è evidente, in più di un’occasione, che a Leigh interessi prima di tutto l’attualità di una vicenda dal valore esemplificativo e rivelatore.
Soprattuto in rapporto alla contemporaneità, al persistere delle disuguaglianze e degli scompensi tanto nella comunicazione quanto nei diritti. La violenza della Guardia Nazionale ai danni dei civili rimane così sullo sfondo, come uno spauracchio sempre sul punto di manifestarsi. Al centro della messa in scena, sfaccettata e di notevole risonanza formale, c’è il valore fondante ma anche scivoloso della parola, intesa come chiave d’accesso per la complessità della realtà ma anche come artificio retorico per assecondarne e guidarne le storture.
Una riflessione di mesta drammaticità, lampante e inequivocabile nonostante l’indubbia prolissità del film di Leigh, tanto che quando si arriva alla resa dei conti conclusiva non c’è alcun valore catartico. La dialettica, infatti, ha già rivelato tutto ciò che andava detto ed evidenziato ed è perfino deludente, da una prospettiva cinematografica e voyeuristica, scoprire che il massacro di Peterloo non fu così colossale, dato che nella rappresaglia morirono soltanto quindici persone. A contare, al termine di una visione carica di sottilissimi spunti di riflessione, è la rilevanza dell’affresco di sceneggiatura, la scrupolosità con cui si abbraccia la complessità delle lotte del passato per guardare a ciò che di esse resta nel presente.
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