“Notturno” (2020) è il quinto lungometraggio del regista-produttore di Asmara Gianfranco Rosi.
Una produzione a più voci, italiana, francese e tedesca. Con varie partecipazioni e tre anni di lavoro. Fotografia dello stesso Rosi e montaggio di Jacopo Quadri collaboratore fisso del regista.
Notti pericolose e voci di sottofondo, rumori minimi, rumori lontani, spari e venti di fuoco. Un documento-film di grande giro nei paesi del MedioOriente. Un vasto mondo difficile da inquadrare è da raccontare. La prova è farlo vedere con voci di madre, camere da assestare, bimbi e i loro disegni, ragazzi e i loro giri di fatica.
Ombre e luci, interni e paesaggi, fuochi distanti e rumori di sottofondo, lunghi sguardi e camera da letto, confini invisibili e uomini in arme, teatro in costruzione e paesi in macerie, sguardi spenti e lacrime indesiderate.
Tetro cinema di finzione, statuario mondo rivisto e immagini salienti giocate: docu-film con un marchio, quello del vero nascosto in un verosimile sincero. Certo non si mette la cinepresa a caso, certo non si arriva per avere una storia, certo la sceneggiatura non si può costruire prima; così un racconto è fatto non di compromessi ma di vite riascoltate con metodi veritieri. Può non creare afflato in modo completo. Il documentario oggettivo….è fatto di sola ripresa senza un vero e proprio montaggio. Una successione di eventi. Rosi pensa in grande considerando confini di pesi in lotta da sempre (didascalia iniziale è da considerare), tra Siria, Libano, Kurdistan e Iran.
Teatro in un manicomio; ognuno ha la sua parte, una storia divisa con piccole ambizioni, la memoria da raccontare e l’inveire contro; ecco delle persone quasi senza sennò rendono giustizia alla vita di un popolo; il ‘Cesare non deve morire’ dai Taviani alle menti libere di persone (che vediamo) chiuse. La pazzia dell’uomo abita fuori posto ma è chiusa da intelletto aggrumato di livore. Si deve dire che il frammento riesce bene. Con vera vita.
Un film alla ‘Rosi’: oramai è un marchio di fabbrica quello di non obiettare nulla al reale, di non calcare troppo, edulcorando il minimo e prendendo spunto dalla bellezza di ogni posto. Un confine non visto. Una moto che taglia lo schermo, una piccola barca che si perde nel buio, le acqua intagliate, la natura abbassata e luci in orizzonte appassite. Ecco che quello che è bello come cartolina sancisce la coda di un territorio aspro e pieno di scontri. Il partire dei camion come le galere piene di uomini in arancione, la bandiera issata e il rientro nelle celle. Ecco il confine tra ciò che opprimente si vuole raccontare e il silenzio di ‘saluti blasfemi’ da terre mai tranquille.
Ritmi blandi, silenzi e racconti; il bimbo che parla dell’orrore di fronte ai disegni, la sua voce è il balbettio di ognuno di fronte all’orrore. L’ISIS e ogni forma di violenza. Ecco che i segni dei bambini dicono tutto. Non un racconto giornalistico ma un racconto di corsa con parole ‘balbettanti’ vere e irreali, di orrore e di ansia. Un segno senza movimenti di camera accattivanti. Una lezione per chi guarda. La maestra ascolta e poi si fa da parte.
Notte e giorno, piani fisso e leggere correlate, viste in basso e panorami di valli, strada allagata e camion che passano; rumore di pistoni e pioggia che si attende. Mentre lontano fuochi accesi che svaniscono verso l’alto. È l’orizzonte di un confine labile, inesistente e pieno di passato secolare. Dagli imperi alle guerre di oggi.
Oscuro mondo che conosciamo poco, volti e rughe che non ci sembrano comuni, spazi ristretti e patrie intimorite; si piangono figli, si piange raccontando il vero. Per mostrare emozioni scarne, asciutte, spente e quanto mai amene. Una terra piena di confini. Dagli occhi di ciascuno. Fino al fermo-immagine conclusivo. Niente si è mosso.
Rosi ci mette sempre il suo, non lascia nulla indietro, arriva e ritorna, ci mette attenzione e mai vago.
Regia: lineare, non invasiva, vitale, non piatta.
Voto: 7½ (***½) -cinema mesto-