In un periodo di grande rivalità tra piattaforme, da Disney+ ad Amazon, ognuna di esse, per mantenere saldo il proprio appeal nei confronti dell’utente, necessita di un ricco catalogo costantemente aggiornato. Come in ogni medium che si rispetti, da quello videoludico, ma anche nella concorrenza tra emittenti televisive, il punto di forza di ogni competitor risiede nei titoli esclusivi, fruibili solamente con l’abbonamento a uno specifico servizio.
Netflix non fa eccezione, anzi. Non potendo vantare di proprietà intellettuali altisonanti come la casa dietro Topolino, gli investimenti in materiale originali non sono mai stati indifferenti, concentrandosi sia su imponenti produzioni d’autore, che danno lustro al marchio in questione, ma anche su lungometraggi esistenti esclusivamente allo scopo di rimpolpare l’offerta per il proprio pubblico.
Della seconda categoria fa certamente parte Noise, opera seconda del regista belga Steffen Geypens. Il thriller vede come protagonisti la giovane coppia formata da Matt (Ward Kerremans), giovane influencer, e Liv (Sallie Harmsen), alle prese con il trasferimento nella villa d’infanzia del ragazzo e con la nascita del loro primogenito Julius. Pol (Johan Leysen), il padre di Matt, si trova in una casa di cura lì vicino, motivo per cui il figlio lo passa a trovare più spesso. Questa ritrovata frequentazione riporta a galla un oscuro segreto, che lega l’anziano con la cittadina in cui si trovano, che condurrà Matt in una progressiva discesa nella follia, in cerca della verità.
Si rintraccia subito la volontà del regista di rifarsi a una tendenza dell’horror arthouse odierno, ovvero una creazione progressiva della tensione, senza affidarsi ad espedienti come jumpscare o simili. Tuttavia, Noise, citando il trailer dell’ultimo film di Nanni Moretti, è “uno slowburner che non esplode”.
Puntare il dito su un solo aspetto è impossibile: la mancanze del lungometraggio sono evidenti e presenti in ogni aspetto della sua realizzazione. La recitazione di ognuno degli interpreti, in primis, non riesce a trovare un equilibrio tra una fredda e monotona piattezza e un esasperato overacting, che emerge con il raggiungimento della conclusione.
Non viene in loro soccorso nemmeno una sceneggiatura particolarmente ispirata o un intreccio verso il quale è impossibile conservare interesse nel corso dell’ora e mezza di durata. Persino le scelte imputabili alla regia e al montaggio sono fortemente opinabili, in grado di vanificare la costruzione della suspence finora accumulata, scivolando spesso e volentieri in momenti involontariamente comici.
Noise, troppo impegnato nel voler ricalcare schemi di produzioni contemporanee con basi di scrittura ben più salde, non riesce nemmeno a far fuoriuscire l’impronta del proprio regista, il quale, come il film stesso, si perdono nella memoria dello spettatore dopo pochi istanti dalla fine della visione.
di Davide Colli
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