https://www.cineforum.it/recensione/No-Time-to-Die: Negl’ultimi “cinque episodi più prepotentemente psicoanalitici […] l’immagine bondiana, e in particolare l’immagine bondiana conosciuta, attesa, prevista, adorata, l’immagine istituzionale e patriarcale, l’immagine del maschio alfa, […] è rimessa in discussione e, in ‘No Time to Die’, chiusa. […] Bond finalmente incontra la (propria) verità.”
Com’un bicchiere d’acqua pieno: straripante ma insapore, incolore, inodore. Scorre via benissimo proprio perché non lascia tracce, ricordi, emozioni. Né si poteva sperare altrimenti: la scelta di Craig come nuovo 007 è stato uno strappo volontario dalla tradizione e dall’action old school, quando l’ironia fungeva da straniamento brechtiano contro l’esagerazioni degli stuntmen, ed era un’ironia proveniente ancor prima dai volti dei protagonisti (non mi riferisco solo a Connery ma pur’ai Willis, Schwarzy, ecc.) piuttosto che dalle battute inventate dagli sceneggiatori. Forse gl’antropologi sapranno spiegarci questo mutamento paradigmatico avvenuto col cambio di millennio: l’eroe/eroina, un elencone di personaggi immaginari o fumettistici, si prende sempre più sul serio, i Craig, Neeson, Reeves, Theron, gli X-Men e i protagonisti del MCU palesano con crescente frequenza un improbabile velo d’umanizzazione assumendo connotati neorealistici quasi fossero un test per una realtà virtuale sempre più immersiva. Avrei potuto usare meglio 2 ore e 43 minuti della mia vita? Mi sarebbe piaciuto provarci, ma ormai l’implosivo trend culturale è stato stabilito e ha attecchito ovunque.