Nessuno si salva da solo: la recensione di loland10

Nessuno si salva da solo: la recensione di loland10

“Nessuno si salva da solo” (2015) è il quinto lungometraggio del regista-attore Sergio Castellitto.
Ecco che la coppia Castellitto-Mazzantini pubblica, produce, scrive e dirige il film con distribuzione internazioale con logo Universal pensando ad un mercato oltre confine e a qualche introito di lusso!
Il regista romano ritenta il colpo (dopo la deludente ultima pellicola di ‘famiglia’ cioè “Venuto al mondo“ del 2012), e per di più non perde(ono) mai il vizio di assecondare argomenti e frammentazioni umane varie, ecco un film dove non manca quasi nulla, innamoramento, cena conviviale, sesso gradito, cibo in faccia, odore di neonato, incazzature salutari, amici maldestri, sesso riempitivo, malattie terminali, cibo anoressico, voci soffuse, corna magnanimi, separazione involta, carrellata sui corpi, passeggio da giardino, squillo dove, occhi piacenti, corpi posati, libro in panchina, gorgheggio di sogni e montaggio di ricognizione, Non manca quasi o nulla al film di Castellitto per farsi piacere in tutti i personaggi e per contare le scene pastoso-mente volute in posa sorpresa per un pubblico avvinghiato dal desiderio (?) di arrivare all’estasi (?) immaginifica per un film molto studiato ma non (molto) coinvolgente. Meccanicamente saturo e idilliacamente scevro di ogni desiderio interiore come salubre di frasi (post)modernizzate e a spirale ingoiato da mistificazioni di rapporti umani.
E’ ossificazione derelitta di rapporti inebrianti senza un briciolo alcolico di una cena fra due al ristorante (giusto per ritrovarsi, sputarsi addosso, cibarsi a vicenda, cazzeggiando senza limiti) con flash-back a iosa per rinverdire (a loro) il passato e farci ingoiare (metaforicamente, è ovvio) a noi spaventati spettatori (che di ogni cosa nefanda giammai…vedemmo) il tritume (allegoricamente…pacchiano) di ogni sorta di quotidiano alla potenza che si desidera. Tutto r ri-tutto: ecco il limite (e non solo) importante del film di Castellitto…troppo (come da libro riferisce la sceneggiatura completa della moglie) accumulo per avere scene madri (di lieve entita) costruite per piace in quell’istante ma che emotivamente dicono ben poco (anzi pochissimo).
E il ristorante diventa luogo ossimoro di ciò che è detto e ridetto. Del nulla e dello sconcio, del primo e del secondo, del vomito familiare e del rimbrotto esteriore, degli sguardi sghembi (sofisticamente vorrebbero ma poco rompi schermo) e dei pasticci in faccia, del caos in presente e del de-prufundis passato, di quello che vuoi e di ciò che non vorresti (vedere), del tavolo di fronte e delle luci soffuse, del richiamo registico e della poca fantasia. Tutto mentre i due (in penombra…mica tanto) ‘vecchi’ sono lì che mangiano e brindano, chi sa per che cosa, nel durante Gaetano e Delia si scompagino (così vi pare) come Vito e Lea si rimpiangono (cosa non ci pare vero) che la chiosa quasi-finale all’uscita-incontro lungo la strada notturna (‘nessuno si salva da solo’ appunto…) appare rituale e ‘fintamente’ d’effetto. Nulla di ciò: è (quasi) spenta la postura scambio di battute e il fraseggio delle due coppie vorrebbe essere liberatorio e pensante.
Per chi scrive, rimane lì, nelle labbra di Vito (un Roberto Vecchioni quasi fuori programma…nel senso del film) che ci disegna un personaggio con malattie terminale al brindisi della vita. Un innamoramento (verrebbe da citare…una delle tante di Francesco Alberoni…) a lungo termine per una vita all’epilogo. Ma l’emotività è smorta già in partenza e i quattro fanno fatica (molta…) cinematograficamente a darci emozioni…Tutto rimane freddo e quasi scaduto…Il prodotto (film) è talmente tirato per le lunghe (ristorante, casa, ristorante, amici, amplessi, prole, passato e presente…) con continui scambi che il gioco pare già predisposto e immaginiamo l’incontro dopo un paio di inquadrature al tavolo-cena con interiorità annullata dall’accumulo di cibo che vuole essere complementare della storia ‘anoressica’ di Delia. Un pulsare continuo di rigurgito infantile e di spasmo orgiastico (ecco il modo da ‘bullo’ in mostra di Gaetano….nel senso letterale…con riprese scoperte e di copertura dell’organo -di cui il protagonista si compiace- in funzione ‘stile’ in copiatura di ‘ultimo tango’ con vece attoriale , si fa per dire, alla Marlon Brando…) che denotano il limite massimo di un film che è solo di sommatoria di ogni faccenda ‘sgraziata’ della vita con mostra piatta e senza un vero sussulto. E’ l’ordine di un disordine quanto mai scomposto. Il certo del nulla che viene diluito con un montaggio congeniale che ravviva (o meglio fa sembrare) la storia più ardimentosa di quella che è.
Il finale (quello vero) mostra un cinema di ‘cultura’ (quale vorrebbe farci credere) a chi ne vuole il limitare il gioco (sguardo, camminata, dondolio, giuste movenze e saluto movimentato) con un’uscita di scena di Gaetano che mostra una ‘dileguante’ e ‘troncante’ voce di rigetto. E’ lo spettatore che esce di scena perché il vuoto arriva come nessuno (?) … dimenticherebbe con simpatia (finta) e mestizia (vera).
La storia della coppia Gaetano (Riccardo Scamarcio) e Delia (Jasmine Trinca) è pura allegoria delle miriadi voci degli accadimenti odierni che travalicano ogni gusto di compressione e di complicità (nel senso di partecipazione) da parte di chi è di fronte al grande schermo. Scamarcio meglio del solito, nel senso che ci mette qualcosa nel modo, negli occhi e nel corpo, mentre Trinca appare più convincente anche se nelle fasi emotivamente (?) più calde e movimentate non sempre riesce a tenere il passo. In certi casi la regia dovrebbe dare il la e soprattutto convincerci (molto di più) che quello che si racconta è credibile. Il miglior personaggio è quello recitato da Anna Galiena (Viola) che riesce a ritagliarsi(ci) un giusto apprezzamento.
E per concludere che dire delle canzoni corali cantate con scene ridondanti se non acclamanti, riepilogative e sincopate che oramai fanno parte del ‘nostro cinema’? Tutto cantato, in coro, in sottofondo, com modi e leggerezze che appesantiscono tutto (da ‘“Le chiavi casa” di Gianni Amelio –con Vasco Rossi che parte dall’autoradio- a “La nostra vita” (2010) di Daniele Luchetti –sempre Vasco Rossi cantato con voce convinta da Elio Germano-, da “Il nome del figlio” di (2015) di Francesca Archibugi -dove il trenino e altro divento un mesto flashback di un un cinema che si ‘rimpiange’- fino al fil di Castellitto con Lucio Dalla che appare in video con una raccolta di sentimenti per la Roma in spolvero alla crisi…).
“Nessuno si salva da solo” e “ La sera dei miracoli” vorrebbero duettare insieme con una forza immagine-voce da vera commozione…ma, in verità, tutto è scontato e il grigiore dell’attesa dei fatti (la tv accesa e il volto di Lucio sembrano stonare già per l’approccio..) resta senza e il sentimentalismo appare alquanto stucchevole, flaccido e, in definitiva, lontano dalle intenzioni del testo del cantautore bolognese. Giammai essere pari all’originale…
Voto: 5+.

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