Nell’aprile del 1940, la città di Narvik, nella Norvegia settentrionale, è un crocevia cruciale per la Germania nazista, dato che è proprio passando da lì che dalla Svezia arrivano nel paese gran parte dei minerali necessari all’industria militare (circa l’85% della materia ferrosa, addirittura). Gli Alleati colgono ben presto l’importanza che riuscire a mettere le mani sulla città potrebbe avere nel gestire il ritmo del conflitto, rallentando in maniera significativa l’avanzare delle armate hitleriane.
La messa a punto di un piano per stanare l’accesso al porto di Narvik, in teoria neutrale proprio come tutto il paese, coincide però l’invasione tedesca della Norvegia, con una conseguente guerra per controllare la nazione che porterà alla prima, storica sconfitta per Adolf Hitler e le sue truppe. In questo contesto arroventato, il soldato Gunnar Tofte intende salvare la moglie Ingrid e il figlioletto.
Narvik del regista Erik Skjoldbjaerg, approdato anche in Italia su Netflix come nel resto del mondo dopo essere uscito a Natale in Norvegia, è la nuova opera di un cineasta saltato agli onori delle cronache principalmente per aver diretto il thriller Insomnia, dal quale Christopher Nolan ha tratto il proprio personale remake con Al Pacino e Robin Williams. Racconta di un momento storico strettamente legato alla storia del suo paese, tanto che la produzione ha tutti i crismi del progetto in grado di illuminare, a uso e consumo di una platea internazionale, una vicenda nazionale di fatto non così nota oltre la Scandinavia.
Questo war movie non è stato dei più fortunati in sede di inizio riprese (il primo ciak è stato battuto nel famigerato marzo 2020, in cui insorse prepotentemente la pandemia e si andò poi incontro a inevitabili rinvii), ma lo sfoggio di mezzi e risorse non pare averne risentito, dato che gli elementi del film di guerra in grande stile ci sono sicuramente tutti in quanto a budget, esplosioni, ambientazioni e scenari, un po’ come in Niente di nuovo sul fronte occidentale, il pluricandidato agli Oscar 2023 anch’esso disponibile su Netflix, che però a confronto può contare su ben altra pasta.
Più rivedibile e decisamente meno collaudata, in Narvik, è infatti la scansione narrativa del racconto, prevedibile e canonica oltre ogni lecita misura. Gli eventi bellici sono meramente illustrati dall’inizio alla fine, con lo spettatore chiamato a non fare altro se non seguire quella che sembra a tutti gli effetti una pagina di storia affrescata con gli strumenti del cinema più anodino e impersonale possibile. Tanto che, anche quando si suona la grancassa del dolore livido e sanguinario che la guerra portò nei ghiacci del Nord Europa non meno che in altre zone del Vecchio Continente, lo si fa sempre in maniera sfiatata e sommessa, con le esigenze più patinate a farla da padrone per smussare disperazione e angoscia e non distanziarsi dalla banalizzazione spacciata per divulgazione.
L’emozione, anche nei climax più vistosi, è poi telecomandata e stucchevole e anche molte delle sequenze d’azione si riducono alla descrizione che ne forniscono le didascalie in rapporto ad avamposti, ordine degli schieramenti e punti di vista delle milizie. Senza contare che, come spesso accade in questa tipologia di film di guerra che mirano esclusivamente all’intrattenimento facilone e di grana grossa, è praticamente impossibile affezionarsi a chicchessia o anche solo mettere a fuoco i diversi personaggi, le cui psicologie sono ridotte all’osso per non intralciare (non sia mai) i singoli frangenti, inseriti magari tra un salto temporale o un’ampia variazione di campo.
Visto e considerato anche il pressappochismo con cui sono messi a punto gli interventi nella narrazione di soldati inglesi e tedeschi, mere pedine nello scacchiere della Seconda guerra mondiale, verso i quali sembra esserci ben poco interesse in scrittura e ancor più abbandono a loro stessi in regia, tirate le somme di Narvik rimane in evidenza soltanto il monito nazionalista, scandito a caratteri cubitali per quanto perfettamente comprensibile e in fin dei conti perfino insindacabile, data la natura del prodotto: «Siamo norvegesi, e combattiamo per la nostra gente».
Foto: Nordisk Film
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