Tormentato da un omicidio irrisolto, il brillante detective londinese ormai caduto in disgrazia, John Luther (Idris Elba), evade dal carcere per dare la caccia a un sadico e cruento serial killer, David Robey (Andy Serkis), efferato cyberpsicopatico che terrorizza la capitale britannica.
Film pensato come una continuazione e al contempo come una costola della celebre serie televisiva inglese creata da Neil Cross, andata in onda per cinque stagioni dal 2010 al 2019 su BBC One (in Italia su Fox Crime e Rai 2), Luther: Verso l’inferno è un thriller su larga scala brutale e diretto, fisico e disperato, che tuttavia aggiunge poco alla sintassi seriale e ai traumi elaborati dal racconto poliziesco per il piccolo schermo.
Lo spirito della serie o quantomeno le sue sembianze di base sono comunque rispettate – così come il canovaccio-base delle puntate, con i fantasmi del passato a frapporsi tra Luther e la necessità di agire in direzione ostinata e contraria al “sistema” per risolvere un caso -, ma il tentativo di gonfiarne i connotati action per andare a riempire un film più roboante e fracassone estingue il fascino di psicologie, indagini e passioni forti, in favore di una feroce e squadrata violenza da popcorn e posticci incendi in CGI (c’è anche una nemmeno troppo sottile vena anti-tecnologica, come in tanti film italiani in cui la tecnologia viene bollata sempre e comunque e solo e soltanto come il male assoluto).
Il proposito, evidente, è quello di non sfigurare nell’agone dei blockbuster e soprattutto dei cinecomic di oggi, ma è difficile non alzare il sopracciglio al cospetto di questa Londra che pare Gotham City, e che disperde pertanto gran parte della sospensione dell’incredulità in un virtù di un’ottusa tensione accumulatrice di grana grossissima. Di Idris Elba si parla da moltissimo sempre come potenziale nuovo 007, nell’infinito buzz intorno a chi erediterà il testimone da Daniel Craig, anche se un film come questo non lo aiuta affatto (lui stesso però ha più volte detto di non essere interessato allo scenario); questo perché, a forza di tagliare quasi tutto con l’accetta, finisce col depotenziare e disinnescare anche la postura corporea, l’eleganza coriacea e la recitazione squadrata ma al contempo sfaccettata di Elba: tutti aspetti che nella serie invece funzionavano molto bene.
In maniera probabilmente sintomatica Luther: Verso l’inferno sembra una versione in chiave di Bond movie della serie capostipite (da segnalare una scena in cui il protagonista rifiuta un Martini, che sa di ammiccamento ma anche di parodia), con un cattivo che potrebbe essere tranquillamente uscito da un film del franchise più virato verso i puri e semplici villain da b-movie che non vanno tanto per il sottile. Tutto quest’immaginario, che muove da premesse in fondo raffinate ma annega nel pulp più deteriore, barbarico e auto-assolutorio, rivela però una confusioni d’intenti e di soluzioni che lo rendono un film piuttosto vecchio, tanto nella forma e nel concept quanto negli esiti complessivi. Oltre che in ritardo di almeno dieci-quindici anni sul mercato, parlando naturalmente di produzioni che ambiscono o dovrebbero ambire alla serie A: ancora una volta Netflix si conferma, da questo punto di vista, il più “comodo” e largo dei refugium peccatorum.
Foto: Netflix/BBC
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