Di Franco Amore (Pierfrancesco Favino), poliziotto calabrese a Milano, si dice che è Amore di nome e di fatto. Di sé stesso lui racconta che per tutta la vita ha sempre cercato di essere una persona onesta, un agente che in 35 anni di onorata carriera non ha mai sparato a un uomo. Queste sono infatti le parole che Franco ha scritto nel discorso che terrà all’indomani della sua ultima di notte in servizio.
Ma quella notte sarà più lunga e difficile di quanto lui avrebbe mai potuto immaginare. E metterà in pericolo tutto ciò che conta per lui: il lavoro da servitore dello Stato, il grande amore per la moglie Viviana (Linda Caridi), l’amicizia con il collega Dino (Francesco Di Leva), la sua stessa vita. In quella notte, tutto si annoda freneticamente fra le strade di una Milano in cui sembra non arrivare mai la luce.
L’ultima notte di Amore, presentato Fuori Concorso all’ultima Berlinale 2023, si apre con una scena paradigmatica: Milano ripresa dall’alto, di notte, non con il solito abusato drone ma con un elicottero. Una dichiarazione di sguardo precisa per un film che ci immerge immediatamente in una tattilità urbana fisica e concretamente tangibile, in cui la città meneghina è immediatamente un personaggio aggiunto, oltre che un paesaggio e un orizzonte morale.
Il film di Andrea Di Stefano, che l’ha girato in pellicola – a riprova di un lavoro sulla grana delle immagini non meno che encomiabile -, ci trascina immediatamente in un’oscurità rispetto alla quale non pare esserci riscatto; eppure (o per meglio dire non a caso) è un’opera di grandi chiaroscuri morali, di sfumature etiche complesse e contraddittorie, di scelte e uomini tutti d’un pezzo che si ritrovano alle prese con un tunnel reale e simbolico dal quale è difficile ipotizzare una via d’uscita, come in ogni viaggio al termine della notte che si rispetti.
A guidare la parabola della sceneggiatura c’è un uomo, il Franco Amore interpretato da Favino, che dalla sua professione grazie alla propria rettitudine e integrità ha avuto probabilmente tutto ma non abbastanza sul piano economico, e si lascia sobillare, proprio in vista del traguardo, da un’ultima grande tentazione che possa portarlo a migliorare considerevolmente la propria condizione economica e familiare, e che gli arriva da un grosso affarista cinese a Milano avvezzo a traffici loschi. La – come spesso gli accade – monumentale interpretazione di Favino di tale baratro in bilico sul mare nero della colpa e del destino ci restituisce praticamente tutto, riuscendo però a non mangiarsi il film, a calmierare ogni eccesso, a stare sempre un passo dietro a tutto: tentennamenti, incertezze, contraccolpi, dinamismo disperato, lividi e lacrime.
Ciò che fa de L’ultima notte di Amore il più grande noir o per meglio dire polar italiano degli ultimi anni, laddove poliziesco e noir si incrociano e si confondono come nella migliore tradizione francese, è però il lavoro encomiabile e sensazionale sul tempo e sullo spazio. Il film, praticamente a due terzi, dopo aver accumulato moltissime premesse drammatiche, si radicalizza, stazionando in maniera pressoché univoca intorno allo scenario e alle conseguenze di un sanguinario “incidente”. Ed è proprio lì la regia e la messa in scena fanno la differenza, impennandosi magneticamente, non temendo di polverizzare e spappolare il ritmo e costruendo una sorta di struggente e tesissima dissezione per immagini di ciò che è avvenuto. Cinema purissimo, pensato e girato con originalità e coraggio, fiducia nello spettatore e nella capacità di parlare, attraverso le inquadrature, al rimosso e all’inconscio di chi guarda, senza per questo disperdere un minimo dell’efficacia serrata e disperata dell’ingranaggio di genere.
Di Stefano, che si è fatto le ossa come attore ed è al terzo film dopo Escobar con Benicio Del Toro e un’altra opera americana, The Informer, è una figura preziosa, oggi, per l’economia creativa e gli scenari produttivi del nostro cinema: un nome sul quale investire, un possibile nuovo cineasta da affiancare di diritto a Stefano Sollima quando si parla di approccio al genere crudo, controcorrente, dai profondi dissidi interni ma al contempo sempre limpido, mai banalmente esterofilo e proprio per questo fortemente identitario. Emblematico di un patrimonio cinematografico nazionale (quello dei Di Leo di una volta, ma con un occhio ai Michael Mann di oggi: si veda anche la formicolante e magnetica colonna sonora di Santi Pulvirenti, da poliziottesco puro), profondamente radicato nella contemporaneità e con personaggi che sono emanazioni spettrali a tutto tondo, chiamati a giocarsi la partita del proprio destino da pari a pari, guidando sempre e comunque in prima persona i fili della loro sorte anche quando tramortiti e sopraffatti.
In L’ultima notte di Amore c’è poi il personaggio femminile più sfaccettato e meglio scritto che una produzione italiana di questo tipo e non solo abbia accolto dentro di sé negli ultimi tempi, quello della moglie del protagonista interpretata da Linda Caridi, che è un perfetto contrappeso – ironico, solare, esilarante, ma anche in fin dei conti molto più cinica e altrettanto tragica – alla figura virile al suo fianco. L’attrice nell’impersonarla si consacra definitivamente come uno dei migliori e più luminosi talenti emergenti del nostro cinema e il suo ruolo come il perno che fa fare alla sceneggiatura di Di Stefano il definitivo e più completo salto di qualità possibile.
Foto: Indiana Production, MeMo Films, Adler Entertainment
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