Vento nuovo nelle sale. Dopo il rivoluzionario Cloud Atlas arriva Looper, forte sintomo di come il cinema, quando vuole, usa il cervello.
Intanto dobbiamo sapere che Looper non è quello che si presenta. Non è un blockbuster sci-fi incentrato su paradossi temporali, calcoli quantistici o cose simili. Non è un viaggio spazio-tempo tra futuro, presente e passato. C’è si una macchina del tempo ma non ci interessa come è stata inventata, da chi o come funziona. C’è e basta. Quello che ci interessa è la società, il contesto del film, il futuro prossimo secondo Rian Johnson. Ci sono meraviglie tecnologiche, auto futuristiche e nuovi tipi di droghe ma Looper non è fantascienza pura, almeno non solo. E’ molto più ambizioso di questo.
L’obiettivo è distinguersi. Non è azione a base di proiettili o “bullet time”, né gioie per gli occhi sottoforma di kong fu o arti marziali. Non ci sono contrasti scientifico-religiosi, né riflessioni sui grandi perché dell’umanità. Se togliamo tutto questo allora, cosa rimane? Qualcosa di ben più semplice e allo stesso tempo estremamente innovativo, ecco perché Looper si presenta spavaldo e a testa alta.
Looper si, ma che significa? Significa che in un prossimo futuro, diciamo verso il 2074, commettere un omicidio sarà piuttosto complicato, quasi impossibile non lasciare tracce. Poco male se esiste la possibilità di mandare le vittime indietro di 30 anni e affidarle a gente come Joe, looper di professione, nient’altro che killer mercenari che riempiono il loro quotidiano proprio giustiziando le persone e facendone scomparire i cadaveri. Niente eroi quindi, il nostro protagonista non è certo da considerarsi un buono. Vive nella feccia sociale, fa regolare uso di droghe e frequenta donne di malaffare. Il suo è un lavoro paradossalmente monotono destinato a concludersi al termine del suo ciclo, del suo looper, ovvero quando in cambio di una consistente buon’uscita, si termina il contratto con la malavita. Il suo tran tran quotidiano viene però spezzato quando riconosce in se stesso la prossima vittima. La minima esitazione può diventare cruciale.
Da qui si snodano le strade del film. Vediamo una prima parte, il mondo di Joe, in perfetto stile noir. Un quartiere dark privo di qualsiasi ordine pubblico, regno della criminalità e della bella vita. Joe è un looper di poche vedute, arrogante, solitario, ambizioso. Il bello del film ruota intorno al rapporto con il suo “io” invecchiato e al contrasto che ne deriva. La versione futuristica di Joe è un’altra persona che non si riconosce, una persona che della vita ne ha fatto un percorso diverso. L’arroganza ha lasciato il posto alla ragione e la solitudine all’amore per una donna. Scordiamoci un rapporto idilliaco fatto di comprensioni e di folle allegria, qui le pistole si mostrano spietate, a prescindere dal fatto che la stai puntando contro te stesso. E’ qui che la storia prende un’altra piega, la massa e la città buia e chiusa si fanno da parte. La scena si sposta in aperta campagna, una distesa di campi immensa dove abita una donna con il figlio. Cambia molto, non solo notte con giorno, ma soprattutto si avverte gradualmente il passaggio di intensità della pellicola. Dopo un ritmo crescente e avvolgente, il regista dosa le forze inserendo un perfetto clima di tensione facendo assaporare un pizzico di western (l’attesa tra i due Joe non è altro che l’attesa che precede un duello). Scocca un momento posato, l’azione stalla ma è sempre li pronta ad uscire in qualsiasi momento e a poco a poco, eccoci di nuovo dentro un altro crescendo d’intensità verso un finale altamente spettacolare e ricco di colpi di scena.
Lo hanno definito un film intelligente e probabilmente è un termine azzeccato. Looper cavalca il filone innovativo, capitanato da Cloud Atlas, che si sta lentamente diffondendo negli ultimi mesi. Definirlo capolavoro è sicuramente esagerato ma apprezziamo, e non poco, lo sforzo nell’osare. La trama regge e convince pur lasciando qualche buco di sceneggiatura che comunque non intacca il quadro di fondo. Joseph Gordon-Levitt è quanto c’è più di interessante in giro (vedere “Senza Freni” e “50 e 50” per conferma), non è (ancora) una macchina da soldi ma il potenziale è già delineato e la sua versione giovane di Bruce Willis convince appieno nonostante l’impietoso paragone quando si tratta di vomitare bossoli in quantità perché ci sono un paio di scene dove il buon vecchio Bruce regala grosse emozioni ai suoi fan storici. Jeff Daniels (l’ex Scemo + Scemo) è invece un inaspettato piacevole ruolo di contorno. Ma elementi a parte, sotto la maschera Looper recita la sua parte acchiappando l’interesse dello spettatore che accetta tutto quello che vede senza scervellarsi in maniera fastidiosa. Non ci sono rompicapo o giochi di sceneggiatura che incitano alla concentrazione massima, solo un filo conduttore appassionante che va a chiudere l’ultimo anello della catena.
Degni di nota sono quindi l’idea di fondo, quanto lo svolgimento della trama. Siamo consapevoli di essere di fronte a qualcosa di eccellente ma è una sensazione che non trova mai la consacrazione. Looper galleggia nel limbo del “potrei ma non riesco” ma limitarne i meriti è pura eresia.. Da vedere.
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