Lincoln: la recensione di Antonio Montefalcone

Lincoln: la recensione di Antonio Montefalcone

C’è un grande paradosso nell’ultimo magnifico film di Spielberg: l’immagine della Storia è rivelata principalmente da ciò che meno la contraddistingue: il suono, la voce, il verbo umano. E la parola è quella del 16° Presidente americano, Abraham Lincoln. E’ l’efficace allegoria di questa mirabile pellicola, una potente e interessante opera che concentrandosi sulla centralità della politica, affidandosi alla straordinaria forza dei dialoghi atti a rappresentarla, e alle affabulatorie, eccezionali doti oratorie e d’eloquio di questo amato personaggio storico, ha svelato la sua anima, l’anima dell’epocale cambiamento sociale che fu per gli americani l’abolizione della schiavitù e la fine della guerra civile, e soprattutto di quella grande forza che viene da metodo, convinzione e determinazione; e che in Lincoln si sono riassunti appunto nella qualità migliore che possedesse, nella necessità della Parola verbale, usata spesso come prezioso e utile strumento persuasivo sia nella sfera pubblica, sia in quella privata. Ma l’abilità di Lincoln non fu espressa solo dall’eloquenza, ma anche dal saggio relazionarsi col suo ruolo di Presidente, di guida veramente responsabile di una nazione, morale prima ancora che materiale; e soprattutto dalla fede, convinta e sentita, nei suoi ideali. Un’idealista e umanista fervente, un acuto conoscitore delle debolezze umane, un depositario di memorie americane; ma anche un politico realistico, e dunque disincantato fino al punto da saper discernere e conciliare, anche con amara disperazione e pragmatico compromesso, gli estremi punti di tensione tra i Valori più alti e sublimi (libertà, uguaglianza, diritti individuali) e i cupi, meschini giochi del Potere (spietate macchinazioni, macchiavelliche corruzioni, calcoli e caccie all’ultimo voto, fini che giustificano illeciti mezzi, zone d’ombra dell’attività politica).
Intelligentemente lontano da intenti agiografici, e addirittura dallo stesso biopic tradizionalmente inteso (il film non racconta tutta la vita di Lincoln, se non i suoi ultimi cruciali mesi prima dell’assassinio, fondamentali a descrivere indirettamente l’uomo e il presidente; ma narra nello specifico la genesi del XIII Emendamento, analizzando in profondità come Lincoln convinse il Congresso a votare la legge sull’abolizione della schiavitù), il film mostra un presidente tanto volenteroso di raggiungere il suo obiettivo quanto spregiudicato nei modi e mezzi per arrivarci. Lincoln è celebrato al punto giusto, ma è anche disegnato nelle sue debolezze, tra luci e ombre: un uomo che, malgrado la nobile causa, l’amore per il suo popolo e la sua famiglia, sconta il peso della sua solitudine, della sua voce di giustizia, del suo essere luce nel buio della Storia e in un campo oscuro e moralmente contraddittorio che è l’attività politica; dignitosa e fondamentale per la vita sociale se rivolta al bene collettivo, ma anche capace delle più abiette menzogne, compromessi, artifici, spesso necessari, amari prezzi da pagare anche per finalità giuste e nobili.
E’ su questa pesante responsabilità dettata dal proprio ruolo pubblico e privato, sui costanti richiami della propria coscienza interiore, sui travagliati percorsi parlamentari per la rapida approvazione del XIII Emendamento, sui lugubri intrighi del potere, e sui tragici connotati che assume la sua figura, che Lincoln diviene al tempo stesso protagonista della Storia e suo agnello sacrificale, espressione simbolica e intensa dell’uomo che stravolge ma viene anche travolto dalle circostanze storiche e collettive. Per questo Spielberg lo riprende spesso da dietro o in controluce, come un fantasma che svanisce nelle inquadrature e quasi a disagio, dietro gli eventi. E per questo l’interpretazione di Daniel Day-Lewis è eccelsa e straordinaria (non solo per portamento, andatura, gestualità e mimesi facciale) perché rendendosi funzionale al senso del film, rende astratto e in chiaroscuro anche Lincoln stesso.
Si ridimensiona così la statura iconica dello statista, dell’uomo alle prese con complicate e difficili relazioni con i componenti della propria famiglia e col suo popolo, ferito dalla guerra e spaventato dal futuro; e soprattutto si fa di lui la sofferta metafora della necessità di rapportarci con le nostre idee e di agire per il loro concretizzarsi. La fedeltà ad esse, ci suggerisce l’autore, non è solo la ferrea linea di condotta di Lincoln e il segreto del suo successo, ma è anche affermazione di civiltà, motore per svolte epocali e radicali cambiamenti sociali. E’ il raggiunto obiettivo di una vita, ma anche il solido punto di partenza per il futuro. L’invito a noi tutti allora è nel ritrovare il coraggio morale delle scelte che sia andranno a compiere nella chiara prospettiva di responsabilità e incidenza sul destino delle generazioni future. E Spielberg, non un grande statista come Lincoln, ma un grande regista, entrambi affascinanti narratori di storie e memorie del nostro passato storico, sa convincerci.
Per questo il film, precisa ricostruzione storica e riflessione alta sul vero senso del fare politica, ci trasmette non solo una grande lezione di Storia e di civiltà evocata dalla valenza sociale del suo discorso politico, ma anche uno sprono al nostro senso critico di ricercare una politica vera al servizio di supreme o primarie idealità. Spielberg valorizza l’opera con una regia sobria e asciutta, sapiente e vigorosa, mai didascalica, mai retorica, sorprendentemente anti-spettacolare, lontana dalle messe in scene con ricostruzioni maestose, ma capace di incorniciare l’intensità espressiva dei volti dei suoi attori e gli aspetti avvincenti, emozionanti, crepuscolari, persino divertenti di una storia viva e pulsante epica. Ogni movimento di macchina esprime un significato o un emozione, ogni scena è utile e necessaria, ogni attore ruba la scena all’altro (memorabile Day Lewis, ammirevoli Tommy Lee Jones e Sally Field, ma anche il resto del cast apporta al proprio personaggio specificità morali ed emotive di alto livello), ogni sequenza è interessante e coinvolgente.
Girato prevalentemente in interni, si possono ammirare le accurate ricostruzioni di ambienti e costumi, farsi trasportare dalla sobria musica di John Williams, e dal ritmo del montaggio. La splendida fotografia poi dipinge le inquadrature con una luce naturale che illumina il buio (allegorico) dei luoghi, e attraverso pittorici controluce sa ben descrivere sentimenti, sensazioni e stati d’animo dei personaggi, ma anche ben rappresentare tese atmosfere e cupi significati narrativi. Un’opera contenuta quindi, ma di grande impatto; appassionata e godibile, nonostante la lunga durata; tutta sorretta dalla perfetta sceneggiatura di Kushner e Kearns Goodwin, che fa della centralità di dialoghi, serrati e concitati, il motore del film.
La ricca sceneggiatura è basata sul libro “Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln”, che prende quasi a pretesto l’analisi sincera della figura umana di Lincoln, così complessa e contraddittoria, per parlare d’altro. Infatti, attraverso il racconto disilluso dei giochi politici degli opposti schieramenti del sistema politico americano e i loro agguerriti scontri dialettici riguardo il XIII Emendamento, non solo svela pianificazioni sotterranee e complicati sotterfugi, bassezze e meschinerie dei loro rappresentanti, ma opera anche un parallelo col nostro presente. La cronaca politica di quell’epoca, funerea come la guerra civile, è anche triste metafora dell’attuale condizione occidentale. La sceneggiatura strutturata a più livelli, scrive non solo la celebrazione e il necrologio di Lincoln, ma anche la perdita dell’innocenza dell’uomo e di una nazione che per vedere affermare ambiziosi sogni, inalienabili diritti civili, alti ideali e valori spirituali, è costretta a soffocare dolori e a pagare l’amaro prezzo di malsane manovre morali.
Soltanto alla fine il cerchio si chiuderà. La parola, inizialmente verbale, riuscirà finalmente a tramutarsi in forma scritta: in Legge. Una legge che fu protagonista però di una guerra più dura di quella combattuta dai soldati e più sporca dei pantani nei campi di battaglia. E nella quale, i veri soldati sono stati gli illustri uomini del Congresso, i veri campi le aule, le vere baionette le parole. Tutta questa incandescente e stratificata materia è stata argomentata con onestà intellettuale, con rigore narrativo e fedeltà cronachistica, lontano da soluzioni drammaturgicamente facili o da banalizzazioni di sorta. E lodevolmente intensificata da una regia che, lavorando per sottrazione e grande controllo del tutto, asseconda il suo intento educativo. Il risultato finale è un film cupo, corale, solenne. Un capolavoro di profonda portata storica e umana, capace di commuovere e far riflettere con maturità su temi importanti del nostro vivere.

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