A metà tra il thriller appassionato e il western contemporaneo, l’ultima fatica di Oliver Stone, “Le belve (Savages)”, risulta un coinvolgente e piacevole spettacolo d’intrattenimento, ma nel complesso una pellicola troppo banale e pasticciata.
Accantonato il sequel di “Wall Street”, il regista americano torna al cinema con un film dai toni più “spensierati” e con storie di narcotrafficanti, agenti corrotti, sparatorie, sangue e belle donne.
Seppur non tutto è convincente e perfettamente riuscito, si può comunque apprezzare il suo lato adrenalinico, avvincente e godibile. L’opera poi, formalmente, è ineccepibile: montaggio dinamico e vivace, fotografia accaldata e iperrealista, dialoghi surreali, ritratto di tanti personaggi diversi tra loro (sfaccettati seppur poco credibili), estetica patinata e attenta ai dettagli, cast molto efficace (su tutti John Travolta).
Tuttavia, i pregi vengono presto offuscati dai rilevanti difetti.
L’improbabile plot, tratto dall’omonimo romanzo di Don Winslow e manipolato dallo stesso regista, in sé diverte, ma poteva essere più sintetico e migliorato in alcuni snodi narrativi; così come stonano sia una certa incoerenza di fondo quando retorica e moralismo vanno a cozzare col cinismo del racconto, sia la forzatura pretenziosa di certi argomenti riguardanti l’attualità. Non ha giovato nemmeno l’aver esagerato troppo in ironie, sequenze d’azione e violenza, a tratti mal sposati tra loro, che in più punti hanno fatto scadere l’opera nella farsa più efferata ed insipida. Non serve, inoltre, neanche andare a scomodare (in riferimenti o per qualità raggiunte) il cinema di Leone o di Tarantino per descrivere questo film, perché Stone ricalca semplicemente il suo stile e il suo cinema, tra pregi e difetti: per cambio di registri ed estetiche ricorda infatti, e molto da vicino, “Natural Born Killers” dello stesso.
E’ sfacciatamente il cinema delle provocazioni e delle tinte forti, colorito ed enfatico, ridondante e dallo stile concitato, quello dai nobili e sinceri intenti civili. Tutto questo è ben riproposto nel film, soltanto con una grande e non trascurabile differenza: un tempo aveva più smalto, ardore e spessore, e oggi invece appare solo ripetitivo di se stesso, scialbo e per nulla vitale.
Comunque, anche in una pellicola “disimpegnata” e di genere come questa, Stone non tralascia di toccare i suoi abituali temi socio-politici. Aspetto apprezzabile. Nell’opera si può esplicitamente leggere la metafora degli Stati Uniti come un paese che ha perso di vista i veri valori esistenziali. Ciò che purtroppo ne è derivato è soltanto un uso improprio di soldi, potere e avidità che ha reso selvaggia la società e come belve feroci gli stessi uomini…
Lo spettatore è avvertito!