“Latin lover” (2015) è l’undicesimo lungometraggio della regista romana Cristina Comencini.
Il cinema italiano post-modernista ritrova una coralità al femminile persa da molto con un miscuglio di voci, di gusti e di parvenze quasi desuete. E’ il film di ieri per ritrovarsi per una ricorrenza e il divo che fu diventa un ‘speriamo che sia una famiglia’ il cinema che si vuole costruire e non più azzannare. La Comencini apre le persiane della villa in attesa e con un paio di carrellate (esterna ed interna) rischiara il set e scopre un anniversario di un divo (a dieci della perdita del ‘latin lover’ Saverio Crispo), una festa in ritrovo, un’arguzia di manifesti e un incanto di un ‘allargo(ato)’ culturale (nel senso di figlie) nelle pause tra un film e l’altro e tra un paese e il suo confinante, che per rendita ha lasciato donne da raccontarsi e mogli da persuadersi nel giro-vago di un mondo ereditario e vago nei giudizi (critici e amari): la vita di ogni circondario si ritrova per un omaggio mentre Saverio + sempre lì dietro a chiosare ogni sogno, racconto, sfogo e verità sulla sua vita che nessuno osa scoprire. E’ il set in rewind-progress che percorre nelle immagini deja-vu di un cinema che fu (veramente) grande. Il ‘latin lover’ di ogni rimando che ride, seduce, guarda, sfiora, si gira e ci persuade con il suo bianco e nero, il colore sgranato, la polvere negli occhi, le lenti scure, il fiore degli anni e la passione (oramai persa). Il cinema di ieri nel film della Comencini è storia di attimi sfuggenti, di sfoghi iperreali, di leggerezze accondiscendenti, di incontri estemporanei come di lezioni spendibili per l’immaginario ligneo, cadaverico e, sovrappiù, sincopato-mente mostro.agonizzante,
La cinquina delle figlie, le due mogli, lo stuntman, il critico, il marito in attesa e l’uomo voglioso con il ‘latin lover’ occhieggiano tutti, ma proprio tutti a ciò che pensare di essere e a ciò che pensano di avere: del passato lontano, dell divo che non c’è e della vita che s’imbatte nelle rughe di madri (senza marito) e di donne costernate, false r alquanto divette del nulla Saverio fantasma per tutti. E’ il ‘latin lover’ cinema che non c’è più, un omaggio alquanto rinvigorito dall’uso (ironico) della musica e dal tono saccente di commedia tramontata. Le persiane della villa ‘Crispo’ si aprono, le ante fanno entrare nuova luce, le lenzuola sbiadite paiono nuove, i giochi da bambine sono dietro il giardino e il set perenne è una festa paesana per una lapide per un modo di fare film che è scomparso, salutato e suonato da una banda paesana (che tenero il ricordo, per chi scrive, alla ‘fantasia’ italiana del padre Comencini che sessantanni addietro iniziò l’epopea (in tono dimesso sembrava) della ‘vera commedia’ di un Paese che si stava rialzando dalla fine della guerra.
Un contorno di donne, attivissime, frustrate, acide e per niente abbandonate al ‘glamour’ set in perenne (e costante) vita mentre si raccontano, si amano, si odiano, sproloquiano e sarcasticamente avvinghiano in (de)merito ai loro ricordi al tempo del marito conteso (le mogli) e del papà adorato (le figlie). Quel periodo francese…” e quel grande film…l’unico che non si è visto..”…,…”e pensare che tutti i film d’oltralpe escono i Italia”. Battuta al vetriolo di chi crede di essere sugli altari (per merito della dinastia) invece è solo una comparsetta e niente più. Il film francese così adorante da noi (Cannes…e…limitrofi) che quello è l’unico che non vale neanche una visione, d’altronde … neanche il critico si è accorto..del set della erede di Saverio Crispo. Così così. E l’omaggio al Mastroianni di 8½ con gli occhiali fatti scendere con le dita sul naso da parte del ‘latin lover’ compiace tutti e anche la Croisette dove la foto del ‘vero’ divo campeggiava in cartellone-logo nello scorso anno. Coincide tutto.
Comencini padre (“Pane amore e fantasia”), Risi (“Il sorpasso”), Fellini (“8½” e “Ginger e Fred”), Monicelli (“L’armata Brancaleone”), Leone (gli spaghetti western), Bergman (“Scene da un matrimonio”), la ‘nouvelle vague’ e il cinema spagnolo (da Bunuel a Almodovar e chi sa chi ancora) come per altro cinema sparso da ogni parte con Hollywood che veniva anche a trovarci (Cinecittà e non solo)… Come per merito ognuno può trovare se stesso quando i film al cinematografo (come diceva Rosi…ed ecco la trafila del cinema impegnato che viene citato) dava gusto, sensazione e vera immaginazione. E oggi il cinema italiano non disdegna alcune commedie di un certo respiro o qualche puntata di versione sociale ma l’alchimia sceneggiatura-regia-attore sembra persa quando mancano le componenti essenziali con dei ‘mostri sacri’ (tutti elencati, Volonté, Mastroianni, Gassman,….e ancora…fino al tragicomico di un ‘fantozzi’ qualsiasi) che par sognare: infatti la Comencini se ne rende conto benissimo e il ‘disco’ finale (Saverio e Shelley) di ‘Quando, quando, quando’ cantato suonando il pianoforte (ponte italo-americano) libera il sogno con l’inquadratura di note volanti che arieggiano sul giardino della villa. Chi sa appunto…quando..il cinema sarà quello che è stato? Domanda futile.
La Comencini tenta ogni impasto e qualsiasi ardito collegamento visivo ma il suo film pecca in eccesso di studio e in condimenti troppo seguiti con lungaggini e mestizie che paiono dimenticate. Visionario certo, gustoso anche, gradevole pure ma il racconto si impoverisce quando le carte si scoprono tutte e lo stuntman (in arrivo) sbiadisce il tutto e dopo l’omaggio in sala…con risvolti e volti con rughe, il finale è troppo in lungo e largo. Chi sa quando il cinema italiano lascia ogni ‘confine’ per sapersi raccontare oggi con coraggio e vera forza nella scrittura? Aspettiamo (fiduciosi….?…).
Le donne tutte (con dedica a Virni Lisi) attendono e sbraitano, fagocitano e ingentiliscono l’intera storia parafrasando incomprensioni che furono e che sono. Cristina Comencini ci si butta a capofitto operando un quadro per niente semplice: le va dato atto di una grande maestria nel giocare(si) come regista. Scompensi (i racconti amorosi e i rimpianti lievitati) e pause ci sono. Con una storia più serrata e fortemente sarcastica ne avrebbe giovato il tutto. Marina Peredes (Ramona), Virna Lisi (Rita), Valeria Bruni Tedeschi (Stephanie), Angela Finocchiaro (Susanna), Candela Pena (Segunda), Phila Vitala (Solveig), Nadeah Miranda (Shelley) con Francesco Scianna (Saverio Crispo), Lluis Homar (Pedro), Jordi Mollà (Alfonso), Neri Marcorè (Walter) e Toni Bertorelli (critico) sono i tanti personaggi che coralmente raccontano se stessi e un’epoca. Recitazione va di pari passo con le trovate della sceneggiatura.
Voto: 7– (per un film di ieri rivisto oggi).