L’Arminuta: la recensione di loland10

L’Arminuta: la recensione di loland10

“L’Arminuta” (2021) è il terzo lungometraggio del regista Giuseppe Bonito.
Ragazza di tredici anni senza nome (la ‘Ritornata”), uno sguardo perso e una vita che sembra da prendere ogni giorno. Con un prima che non conosce più e un dopo nebuloso e incerto.
Girato in forma dialettale abruzzese -teramana- (anche se le riprese sono state effettuate nella sabina reatina), con un linguaggio povero e scarno e una sceneggiatura essenziale priva di ridondanze eccessive. Tratto da libro omonimo di Donatella Di Pietrantonio che ha scritto il film insieme a Monica Zapelli.
Il gruppo dei minorenni (le due bambine soprattutto) e la madre, ‘attirano’ la pellicola fino alla fine: con attenzione, semplicità e cadenze sottili, il regista riesce a farci pensare e riflettere.
Film che con pochi mezzi spolvera una commozione sincera e un racconto di poesia agreste.
Storie vive tra rapporti chiusi, mamme sottomesse, figli costretti e una ragazza che si trova catapultata in un mondo oscuro e che non conosce, non suo. Come un alieno, lei dice. La comodità abbandona il suo vivere quotidiano. Vede una famiglia sconosciuta e sente voci e parole dure. Senza sconti.
Ambientazione efficace e di grande effetto visivo; interni, modi e mezzi ricostruiscono benissimo il periodo in cui si svolge la storia con piccoli movimenti di macchina e angolazioni non banali.
Personaggi tutti azzeccati con una recitazione al ribasso ma efficacissima; un modo sottrattivo pieno di pathos represso. Un guadarsi in diagonale non accomodante. Si ha sempre la sensazione di colpi di scena annullati. Anche quando sta per succedere il dramma, una moto, due volti e un autobus, non si ha la scena madre ma tutto avviene in un gioco di correlazione malinconico, tremolante, misero senza mai alzare i toni e a facili commiserazioni registiche.
La distanza tra la camera e i ragazzi viene mantenuta ferma e linearmente mai propensa verso una o l’altra vicenda. Una ripresa sativa-mente attenuata, morbida e mai prevaricante sui voltidei ragazzi. A giusta altezza ogni via di percorsa tra interni, esterni e fino al mare tanto sognato.
Il luogo di aggregazione e disgregazione è la tavola dove mangiano la mamma, il papà, i figli e l’Arminuta. Il luogo degli sguardi e delle poche parole è una pentola piena di un cibo diviso per tutti. Ognuno prende il suo.‘La tavola e il cibo in pentola’ sono il crocevia di ciascuno, dove si manifestano sguardi, silenzi, parole e scambi minimi tra un semplice piatto da sporcare e un boccone per sfamarsi. Un ambiente interno scarno, scolorato, umido e fin troppo ristretto. L’intimità si perde e si annulla tra letti vicinissimi e in un bagno nascosto e piccolo.
Con un po’ d’acqua e una bottiglia di vino per un rozzo padre (padrone) che usa come non mai, la cinghia prima di inveire contro le montagne (‘perché non hai preso me’j per la perdita del proprio figlio.
Pellicola che goccia dopo goccia ti entra dentro, scarna nella messa in scena, adeguata al contesto, viva nei gesti, silenziosa e taciturna negli oggetti, misurata nel porsi, aggressiva negli sguardi, avvolgente nella fotografia.
Il contro-canto tra vita comoda e vita piena di stenti arriva da ieri fino ad oggi. Il passo è dirompente tra servizio pulito in un tavolo ben imbandito e un tavolo puramente essenziale con una cibo da cercare e uno spazio ristretto senza visuali sognanti. Ecco che il ‘poco’ diventa ‘orgoglio’ e ‘speranza’ per una ragazza che è la ‘migliore della scuola’.
Cast: Sofia Fiore (l’Arminuta) convincente e immediata nel gestire un personaggio con molte sfumature e sempre al centro dell’inquadratura; Carlotta De Leonardis (Adriana): incanta il suo essere sorella/amica, solare in penombra; Vanessa Scalera (la madre): melanconicamente forte nella rivalsa di un difficile ambiente familiare; Fabrizio Ferracane (il padre): ruolo ingrato e con poche parole si fa ricordare; Andrea Fuorto (Vincenzo): il figlio che vuole ‘fuggire’ e ‘amare’, il mare e una moto per un pericolo dietro una curva.
Fotografia di Alfredo Betrò: spenta e grigia, attenuata nei colori; viva (prima) e priva (dopo) del tempo e dei luoghi. Un ‘oltre’ dentro l’orizzonte del mare per due bambine.
Regia di Giuseppe Bonito a giusta altezza, mai predominante, semplice ed efficace.
Voto: 7½ (***½) -cinema in abbandono-

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