L’amore bugiardo – Gone Girl: la recensione di Andrea Diatribe

L’amore bugiardo – Gone Girl: la recensione di Andrea Diatribe

La costruzione dell’opinione pubblica è influenzata, e viene modellata sistematicamente, con i media di massa. In particolare con la cronaca nera, che va a raccontare da vicino gli aspetti brutali dell’essere umano (a volte con una certa morbosità), si può arrivare a distruggere l’immagine di una persona, sfibrandola in tanti piani che ora attribuiscono un senso all’immagine pubblica del soggetto, ora un altro; piani che vanno poi a ridefinire e far dialogare aspetti normalmente legati alla sfera privata di una persona, facendoli diventare di interesse pubblico.
L’ultima opera di David Fincher, “L’amore bugiardo – Gone Girl”, parla proprio di come i media riescano ad attaccare un uomo sottopelle – e insieme le persone che stanno a lui vicino.
Nick Dunne (Ben Affleck), scrittore newyorkese, ha sposato la splendida ragazza di cui si è innamorato, Amy (una bravissima Rosamund Pike), anch’essa scrittrice, vivendo i primi anni di matrimonio felicemente. Con la crisi economica, entrambi vedono frenate le loro carriere: cercano quindi di ricostruirsi una vita, trasferendosi nel Missouri, ma il giorno del loro quinto anniversario, Amy sparisce misteriosamente dall’abitazione, lasciando solamente tracce di sangue in cucina ripulite in malo modo e un tavolo rovesciato in salotto. È così che prende piega la disavventura personale e mediatica di Nick che, dopo la sparizione, risulterà stranamente apatico con se stesso, con i media e con la polizia, cosa che lo porterà ad essere il primo indiziato per la misteriosa sparizione del coniuge.
David Fincher, regista di due cult del cinema come “Fight Club” e “Seven”, arriva a dirigere un film basato interamente sul bestseller di Gillian Flynn (dal quale il film prende il titolo), autrice anche della sceneggiatura. Il film procede convenzionalmente (con qualche flashback che racconta il passato felice della coppia), senza apparenti guizzi narrativi, in una maniera anche bizzarramente rilassata, proprio grazie anche al personaggio di Ben Affleck, passivo e calmo nell’agire, che ha l’unico compito di far proseguire un intreccio che crei nello spettatore determinate aspettative che verranno improvvisamente deluse, poi di nuovo ricostruite, ma continuamente mutanti in direzioni diverse, già a partire da un colpo di scena che avviene troppo precocemente nel minutaggio totale del film, rispetto ai canoni del genere thriller psicologico. In questo modo, il film porta avanti due linee narrative parallele che regalano un racconto particolarmente elaborato, e che rende lo spettatore partecipe di un caleidoscopio psicologico dalle tinte noir; caleidoscopio che viene messo in scena soprattutto dai mezzi di comunicazione di massa – qui con la loro funzione esasperante – che diventano quasi essi stessi un personaggio all’interno del film, vista la loro importanza (insieme al doppio binario narrativo) nella incessante destrutturazione-ristrutturazione della vicenda di “Gone Girl”. Ci si trova così immersi in un altalenante labirinto oppressivo, inquieto, multiforme delle espressioni del cinismo, del tradimento e della schizofrenia di un matrimonio la cui felicità è solamente un miraggio che sembra possa concretizzarsi solo con un approccio perverso all’amore coniugale.
Fincher ripropone un cinema ambizioso che, grazie allo svilupparsi mai banale della trama, riesce a cogliere le sfumature, le crisi contemporanee del matrimonio e della società dell’informazione che vuole diventare partecipe delle vicende di Nick e della moglie Amy: per lo spettatore infatti non sarà facile schierarsi per un personaggio particolare, visto che, continuamente, il film diverge dalle aspettative.
Alla fine dell’opera, la scelta migliore sarà stata quella di essersi mantenuti neutrali, con uno sguardo al tempo stesso turbato e ironico.

Voto: 4/5

© RIPRODUZIONE RISERVATA
shortcode