Può una storia d’amore avere i toni del thriller?
Lo sicuramente per Virgil Oldman (Geoffrey Rush), esperto d’arte di fama internazionale.
Virgil è il classico eccentrico del mondo dell’arte: battitore d’aste, abita una sorta di museo personale; ha la fobia del contatto, ed ogni mattina apre un armadio di soli guanti, parente alquanto singolare di quelli ricolmi di scarpe del genere Sex and the city.
Non ha mai amato una donna: venera il genere femminile, ma non sa come approcciarlo. Il suo “rifugio segreto” è un’enorme caveau le cui pareti sono tappezzate di preziosissimi ritratti di dame di ogni epoca ed autore, collezione frutto di anni e anni di ricerche (e truffe ai danni della sua stessa azienda) ed in continuo accrescimento.
Sono loro le donne della sua vita. Sarà lui stesso ad affermarlo.
Le giornate si susseguono tra una valutazione artistica e l’altra, fino a che una strana cliente non lo mette in difficoltà e pone fine alla routine.
Claire Ibeson (Sylvia Hoeks), ragazza che ha deciso di mettere in vendita le proprietà dei genitori recentemente scomparsi, sembra essere affetta da agorafobia; non si mostra mai in pubblico e comunica solo via telefono.
La nuova presenza in scena non è altro che una voce: così una vicenda di ordinaria quotidianità si tinge di mistero. Un vecchio espediente teatrale e cinematografico che conserva ancora una discreta efficacia.
Oldman è dapprima infastidito dalla situazione, si fa poi spazio in lui la curiosità che finisce per diventare una sorta di ossessione.
Tra i due si instaura lentamente un rapporto di reciproca scoperta e condivisione, attraverso le mura della stanza in cui lei sta rinchiusa.
Amico e confidente in questa nuova avventura, diviene Robert (Jim Sturgess), giovane restauratore di vecchi meccanismi (e, al contrario del protagonista stratega di conquista femminile) a cui Oldman si rivolge per rimettere insieme i pezzi di un antico automa, fratello segreto di quello al centro delle vicende del piccolo Hugo Cabret di Martin Scorsese.
Il film non è perfetto, dura sicuramente un quarto d’ora di troppo, vi sono alcuni momenti lenti sparsi qua e là nella pellicola e più volte il regista rischia di svelare il mistero prima del tempo.
A partire da un certo punto, si ha la costante sensazione afferrare la realtà, ma lo svogersi della vicenda riesce abbastanza a sopire l’intuizione.
La storia, abbastanza classicheggiante, se vogliamo, è coinvolgente.
Tornatore, con l’aiuto delle musiche di Morricone in sottofondo, cattura e convince.
L’interpretazione di Geoffrey Rush, omnipresente, MAGISTRALE.
Forse non sarà la “migliore offerta” di questo 2013, ma è sicuramente un grande inizio. Mi è piaciuto.
Volendo esprimersi in soldoni, direi quattro stelline su cinque.