Immaginate di fare un collage a tema libero, mettendoci dentro tutto ciò che vi piace, mescolando le influenze culturali e le suggestioni visive con cui siete cresciuti, siano esse alte (cospirazioni shakespiriane) o decisamente più pop (Flash Gordon, Star Wars ecc.): la produzione del nuovo lavoro dei fratelli Wachowski sembra andata proprio così, coi due registi che hanno ancora una volta liberato la loro inesauribile immaginazione e si sono divertiti a costruire una nuova avventura fantastica.
Jupiter Jones è una ragazza immigrata di origine russa che si guadagna da vivere pulendo i bagni delle case dei ricchi di Chicago, già la credibilità vacilla quando questa descrizione si traduce sullo schermo con la bella Mila Kunis ben vestita e truccata con in mano l’ultimo modello di iPhone, se poi aggiungiamo che viene rapita dagli alieni e salvata da un aitante guerriero mezzo lupo mezzo Channing Tatum che le rivela che in realtà è l’ereditiera di una nobile dinastia galattica e che la Terra è di sua proprietà.. bé, la cosa migliore da fare è abbandonare in partenza lo spirito critico e salire sulla giostra dei Wachowski.
Nella loro trama/luna park le attrazioni non mancano, inseguimenti volanti con montaggio da videogame nei cieli della metropoli, tra palazzi che esplodono e vengono riparati magicamente, lasciano il passo poi ad astronavi neoclassiche complete di cattedrali e popolate da ogni razza di extraterrestre antropomorfo con caratteristiche animalesche, per arrivare infine all’incontro con gli eredi della casata Abrasax, tre edonisti snob e doppiogiochisti col mito dell’eterna giovinezza, che si contendono i pianeti come fossero proprietà immobiliari di lusso.
Ammettiamolo, dopo la geniale ed ormai classica trilogia di Matrix i due registi hanno spesso sparato a vuoto, i due progetti in cui hanno investito molto, il visivamente delizioso “Speed Racer” e il sottovalutato “Cloud Atlas”, non hanno avuto il successo sperato né hanno convinto troppo il pubblico; hanno deciso quindi di abbandonare gli spunti riflessivi e filosofici da cui “Cloud Atlas” era ispirato nonostante i numerosi difetti, e di tornare alla fantascienza pura, senza freni, ma soprattutto ad una storia originale scritta da loro.
Nel mezzo degli effetti speciali e dei set più ricercati restano avvinghiati gli attori, la Kunis non fa in tempo a mostrare personalità perché troppo occupata a mettersi ripetutamente nei guai, da cui viene salvata puntualmente dall’ eroe spaziale Tatum che invece, in termini di sensibilità, ce la mette tutta per essere qualcosa di più del solito personaggio già visto, ma si dimentica l’ironia.
Il più spiazzante è di certo Eddie Redmayne, candidato all’Oscar di miglior attore per “La Teoria del Tutto”, che qui gioca di sottrazione con il suo cattivo in bilico tra l’inespressività e l’isteria, che sussurra ogni battuta controvoglia, come se ogni ordine impartito ai suoi scagnozzi fosse uno spreco di fiato.
La parte più spassosa e meritevole secondo me è stata la sequenza del percorso burocratico quasi kafkiano a cui la protagonista si deve sottoporre per far riconoscere il suo status di ereditiera, è un chiaro omaggio al film “Brasil” e al suo eclettico regista Terry Gilliam, che qui compare in un cammeo nei panni, appunto, di un infido burocrate.
Il risultato finale è un frullato di citazioni e riferimenti alla science-fiction classica, con ingredienti fondamentali presi da “Star Wars” e “Star Trek”, naturalmente, ma con l’aggiunta di pezzi di “Flash Gordon”, “Guida Galattica per Autostoppisti”, “John Carter” e in parte anche dello stesso “Matrix”, volendo forse ricordare i loro fasti del passato.
Un “già visto” senza pretese autoriali, spesso strampalato e un po’ infantile, ma talmente ritmato e divertente che si manda giù senza fargliene una colpa: lo schermo è riempito di così tanti colori e dettagli digitali che si fatica a coglierli tutti, è come guardare uno di quei film degli anni ’80 in cui la logica è sospesa e ci si lascia intrattenere per il solo gusto di vedere a che punto di assurdità si arriva.
Gli americani hanno un’espressione per questo genere di esperienze, “so bad it’s good”, così brutto che diventa bello, o almeno spassoso se ci si abbandona alla spensieratezza.
L’unico film recente a cui si potrebbe confrontare “Jupiter” è “I Guardiani della Galassia”, ma quest’ultimo vince a mani basse per l’approccio da commedia mille volte più “cool” e la vitalità dei personaggi.