Incastrati 2: Ficarra e Picone, comici sempre più politici tra Pietro Germi e Criminal Minds. La recensione

Tra commedia gialla e ironia sull’ossessione per la serialità true crime, la seconda stagione della serie Netflix espande la forza e la formula della prima: è probabilmente la cosa migliore realizzata dai due comici siciliani, superiore ai loro film precedenti e compimento nonché punto d’arrivo dei loro ultimi lungometraggi per il cinema

Incastrati 2: Ficarra e Picone, comici sempre più politici tra Pietro Germi e Criminal Minds. La recensione

Tra commedia gialla e ironia sull’ossessione per la serialità true crime, la seconda stagione della serie Netflix espande la forza e la formula della prima: è probabilmente la cosa migliore realizzata dai due comici siciliani, superiore ai loro film precedenti e compimento nonché punto d’arrivo dei loro ultimi lungometraggi per il cinema

Incastrati 2
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PANORAMICA
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Incastrati, la serie interpretata, scritta e diretta da Salvo Ficarra e Valentino Picone per Netflix, è tornata con la seconda stagione e sei nuovi episodi. La comedy, composta da sei puntate anche nella prima stagione, era animata da uno slancio che sfruttava l’ironia e il linguaggio tipici del duo comico, per la prima volta alle prese con una serie televisiva, e aveva al centro una vicenda criminosa. 

I protagonisti erano due amici che rimanevano coinvolti nelle vicende di un omicidio eccellente. Cercando di scappare dalla scena del crimine, i due si mettevano sempre più nei guai in un crescendo di eventi che li aveva portati addirittura a dover fare i conti con la mafia, vivendo molte situazioni surreali causate dal trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Nel cast, oltre a Salvo Ficarra (il thrillologo Salvo, espertissimo del genere) e Valentino Picone (il sempre bonario Valentino), Marianna di Martino (Agata Scalia), Anna Favella (Ester), Tony Sperandeo (Tonino Macaluso, detto “Cosa Inutile”), Maurizio Marchetti (Portiere Martorana), Mary Cipolla (Signora Antonietta), Domenico Centamore (Don Lorenzo, detto “Primo Sale”) e Sergio Friscia (Sergione); per non parlare del cameo sornione, erotico, seduttivo e da urlo di Sasà Selvaggio, nei panni dell’ucciso iniziale, boss mafioso nonché amante della moglie di Salvo. La serie vede tra gli scrittori, oltre ai sempre più bravi Salvo e Valentino, anche Fabrizio Testini, Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, alfieri del crime seriale di Gomorra – La serie e ZeroZero Zero. Tra i produttori Nicola Picone per Tramp Limited.

Ficarra e Picone, da anni ormai, sono comici sempre più eclettici e politici ed è inutile legarlo. Proprio con la loro Tramp del produttore Attilio De Razza sono anche alle prese con un frastagliato e dovizioso organigramma di progetti creativi, che li hanno visti produrre gli esordi in chiave social dei potenziali ma sfiatati eredi Roberto Lipari e I Soldi Spicci, l’impegnato Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta, visto alle Giornate degli Autori a Venezia e da loro anche sceneggiato, per non parlare del meritorio sostegno produttivo alla galassia nevrotica del grande cinico e poeta degli ultimi, di pasoliniana memoria, Franco Maresco, nella fattispecie ai suoi Belluscone. Una storia siciliana e La mafia non è più quella di una volta. 

Ficarra e Picone graffiano politicamente, elevando a potenza ennesima il loro amore per i caratteristi siciliani e palermitani e creando delle giocose e seriali commistioni – esplosive, esilaranti e al fulmicotone – tra il loro dispositivo di finzione e la realtà della politica italiana degli ultimi vent’anni.

Così facendo arrivano perfino a intercettare e profetizzare, in un lieto fine strappalacrime, gli ultimi sviluppi che hanno portato alla cattura del boss Castelvetranese Matteo Messina Denaro, pretesto per omaggiare anche quanti hanno sacrificato la loro vita alla lotta alla mafia, in primis Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche per rifilare più di una stoccata velenosa alle fiaccolate anti-mafia e alla loro retorica. 

Il personaggio di Padre Santissimo dopotutto dice, a proposito della Cosa Nostra che capeggia facendo però da 50 anni il portiere (!): «Noi ci siamo sempre, siamo sottotraccia, aspettiamo che la gente dimentichi, perché se c’è una cosa che la Storia ci ha insegnato è che la gente prima o poi dimentica». Alla luce di quanto accaduto con MMD, è difficile con ritrovarsi a pensare a come l’arte imiti la vita e la vita imiti l’arte, in un costante fluire incrociato di vasi comunicanti. 

Daniele Ciprì conferma per l’ennesima volta la propria impronta all’insegna del solido mestiere in fotografia, mentre ci pensano l’andamento sempre più spassoso e tambureggiante della sceneggiatura e il ricorso a location a effetto, come il casolare di campagna che sembra uscito da uno spaghetti western, a far fare a questa salace e pepata girandola di equivoci il definitivo salto di qualità verso la caricatura di costume a tutto tondo. 

Ficarra e Picone osano anche molto con i cliffhanger, collocati al termine dei 6 episodi da 30’ ciascuno, si giocano il prequel della bruttissima serie crime The Touch of the Killer con l’ispettore Jackson, ovvero The Look of a Killer, e si ritagliano un personaggio da capogiro: quello del giornalista morboso, il Sergione di Sergio Friscia, che spera possa tornare una nuova guerra di mafia; salvo poi trovare nella seconda stagione un bellimbusto ancora più morboso di lui, Bellomo, disposto a tutto per infiocchettare, in pettorali e bretelle, scoop per trasmissioni pomeridiane di dubbio gusto alla luce della sacra triade del sesso, sangue, soldi. 

La frase tipo di Sergione, «Anche oggi la Sicilia ci restituisce la dolcezza del mattino e l’amaro del sangue», la dice lunga su tante, gioviali e superficiali narrazioni sulla Sicilia che preferiscono rifuggire l’approfondimento della complessità, per rifugiarsi nella contrapposizione poetica a effetto. Niente di più vero, di più dolce, di più amaro. 

Il lento avvicinamento ai dettagli (si veda il ciambellone alla ricotta, preparato dalla madre di Picone con zelante, quotidiana ostinazione) è un altro elemento ammirevole, così come il costante giocare sul senso, anche metaforico e simbolico, del titolo, e il deambulare intorno a una Siciliatanto enigmatica quanto lapalissiana”. La scrittura riesce a rendere a tutto un buon servizio, mostrandosi più compatta, limita e dinamitarda rispetto ai film, tanto che di tanto in tanto c’è gloria anche per scene da pelle d’oca come quelle degli abbracci sospesi, malinconici, toccanti, sul ciglio e sul bordo di un cornicione, coi sorrisi a stemperare ogni lampo suicida. 

Foto: Trump Limited, Netflix

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