Tratto da una storia vera. Lo leggiamo sugli schermi da quando siamo bambini. Il cinema si alimenta da sempre del richiamo alla realtà come surplus di identificazione con la storia narrata. Mai però come negli ultimi tempi, è paradossalmente un genere fantastico come l’horror a far sempre più frequentemente uso del richiamo alla natura terrena e reale delle sue storie, o a declinarne la sostanza attraverso il mockumentary (Rec, Paranormal Activity e L’ultimo esorcismo tra gli ultimi casi). Il motivo è chiaramente quello di immergere lo spettatore in un’inquietudine prefilmica che trova terreno fertile in un tema come l’esorcismo, sulla cui presunta pratica è talmente denso l’immaginario cinematografico da rendere ardua una riflessione fuori dalla riproduzione visiva. Il rito di Mikael Håfström decide allora di andare in missione e imporre allo spettatore la natura ineluttabile della pratica antidemoniaca affibiandogli lo sguardo di Michael Kovak (Colin O’Donoghue), giovane californiano che ha scelto il seminario più per fuggire alla dimensione domestica (il padre gestisce in casa un’azienda di pompe funebri e la madre è morta quando era ancora piccolo) che per vocazione. Decisosi ad abbandonare il seminario, Michael viene convinto dal suo vescovo a seguire a Roma un corso di esorcismo che finirà per radicalizzare le sue posizioni, almeno fino a quando la presenza del demonio non invaderà in maniera inequivocabile la sua sfera privata e quella del suo mentore Padre Lucas Trevant (Anthony Hopkins). Difficile raccontare il male al cinema dopo capisaldi come Rosemary’s Baby, L’esorcista e The Omen, ma Il rito tradisce subito le buone premesse per scadere in una progressione di atmosfere e suggestioni banali, che richiamano tutte le scorciatoie più abusate del genere: rumori sinistri, effetti spaventosi, ossa scricchiolanti, evocazioni demoniache in varie lingue e un esorcismo finale di lunghezza estenuante che ha il climax in una vera e propria colluttazione fisica tra bene e male.
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L’elegante e calibrato incipit che faceva sperare in un horror più maturo. L’ambientazione romana, che nonostante la sua invadenza iconografica, ha un fascino immortale.
Non mi piace
La dialettica scolastica tra fede e ragione. È semplicistica e stucchevole; usata solo per dare maggiore enfasi alla scoperta dell’oscurità del giovane seminarista scettico. La traccia audio infarcita di effettacci di ogni tipo per aiutare la suspance.
Consigliato a chi
Ama l’horror e le sue declinazioni bibliche, e accetta di buon grado di farsi spaventare con tutti i trucchetti del mestiere.
Voto: 2/5
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