Il giovane favoloso: la recensione di Mauro Lanari

Il giovane favoloso: la recensione di Mauro Lanari

“Inizio talmente tanti progetti che non mi basterebbero quattro vite a realizzarli tutti. Sento che arrivano ma non posso fermarli, ognuno ha la sua ragione, a volte anche contraria a quella che avevo appena iniziato a tracciare”. È la frase decisiva per comprendere il fallimento del Recanatese quale letterato e filosofo, qui da noi sciovinisticamente acclamato come genio (si sa che l’Italia è piena di geni compresi) pur di colmare la nostra penuria in entrambi gl’àmbiti culturali, m’altrove criticato per la carenza di sistematicità. Lo “Zidaldone” è davvero un crogiolo di pensieri incoerenti frammisti a improvvise folgoranti intuizioni, tanto quanto, passando dalla prosa alla poesia, non sono compatibili “L’Infinito” e “La Ginestra”, illusione e disincanto, sentimento panico e natura matrigna, vitalismo e nichilismo, amore verso luoghi e parenti del proprio “natio borgo selvaggio” e loro demonizzazione, “smoderato e insolente desiderio di gloria” e pessimismo cosmico. La ginestra leopardiana esprime la completa irrisolta ambivalenza maniacodepressiva d’un simile fiore del e nel deserto. Il celebre “studio matto e disperatissimo” nella biblioteca paterna fra le più ricche e apprezzate d’Europa deforma al figlio maggiore del conte Monaldo prima la psiche e poi il corpo: “Volete che passi i […] giorni nella sterile occupazione di commentare gli autori antichi?” “La mia patria è l’Italia, la sua lingua e letteratura”. Eppure il retaggio dei classici costituì una gabbia da cui Giacomo non riuscì mai a evadere, rendendolo più aulico ch’erudito. È per questo che lo devono insegnare a scuola: poiché, nonostante le sue ambizioni, ha continuato a usare una lingua ormai morta, bisognosa d’un apparato di note come il trecentesco Dante del Sapegno. La stessa “Ginestra” presenta in epigrafe una citazione del versetto evangelico Giovanni 3, 19 nel greco medio del Nuovo Testamento, il che, oltr’a essere inutile sfoggio di cultura, denuncia pure il persistere d’un pensiero schiavo della tradizione cristiana e del suo manicheismo. La logica de “il giovane favoloso” (così definito d’Anna Maria Ortese in “Pellegrinaggio alla tomba di Leopardi”, contenuto nella raccolta “Da Moby Dick all’Orsa Bianca-Scritti sulla letteratura e sull’arte”, Adelphi 2011) è infatti binaria e dicotomica, “tertium non datur”, e ciò ne limita l’intelletto relegandolo fra gl’inattuali. Affermazioni come “magnifiche sorti e progressive” sono intramontabili ma non appartengono a una riflessione organica (poi gli studiosi decidono in quante sottofasi vada distinto il suo percorso creativo). “La ragione umana non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo, perché contiene il vero. [E il vero] consiste nel dubbio. Chi dubita sa, e sa più che si possa.” Bene, bello, senonché per Leopardi il dubbio non è sinonimo d’autocritica bensì d’autocontraddizione. Martone avrebbe comunque il merito d’aver riscoperto, del c.d. “Schophenhauer d’Italia”, pure il lato edonistico? Forse qualcuno s’era scordato l’assunto fermamente antischopenhaueriano espresso a riguardo del suicidio nello “Zibaldone”: la vita deve tornare a essere “cosa viva e non morta” e la religione deve riacquistare il suo credito, altrimenti il mondo diverrà “un serraglio di disperati, e forse anche un deserto”, e andrà in perdizione se non tornerà in vigore il piano della natura che “si aggira sopra la gran legge di distrazione, illusione e dimenticanza.” “La filosofia moderna non si dee [sic] vantare di nulla se non è capace di ridurci a uno stato nel quale possiamo esser felici” (http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaL/LEOPARDI_%20SUL%20SUICIDIO.htm). Certo era sperare troppo che il cineasta gettasse via il santino agiografico e oleografico facendoci conoscere anche i punti deboli del suo protagonista, però così ci troviamo con un film da liceali su un autore da liceali. C’è edonismo nella trasposizione del regista? Semmai aneddotica folkloristica. C’è lirismo? Io mi chiedo ancor prima quanto ce ne sia nei logoranti poemi del Recanatese. La resa visionaria di lui affranto disteso s’una riva dell’Arno, l’eruzione del Vesuvio, la statua che si sgretola hanno un taglio da fiction Rai-set, ognuno s’innamora seguendo gusti soggettivissimi, ma parlare di didattica neorosselliniana con lampi fellinian-viscontiani mi suona a dir poco fuori luogo. E l’Elio Germano che recita “L’Infinito” quasi per ispirazione divina, quand’abbiamo i manoscritti ch’attestano ripensamenti e “labor limae”, è un falso storico (http://www.homolaicus.com/letteratura/infinito/poesia.htm).
Ps: la Regione Marche ha sostenuto il film con un contributo di €. 300.000 (http://www.regioni.it/dalleregioni/2014/09/08/il-giovane-favoloso-spacca-dieci-minuti-di-applausi-valgono-una-vittoria-morale-363433/) e sui titoli di coda il primo a essere ringraziato è il presidente Spacca, fresco d’iscrizione nel registro degl’indagati per peculato (https://www.google.it/search?num=100&site=&source=hp&q=Gian+Mario+Spacca+indagato).

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