Di Bruce Wayne soltanto un ricordo. Di Batman nessun fascio di luce che sfidi notti balorde, ma solo una pessima reputazione. Di Harvey Dent è rimasto un simbolo posticcio di un ideale macchiato da una bugia necessaria . E’ questa l’eredita’ della nuova Gotham City, città in cui l’agio e’ sempre un vizio malgestito. Il male cova sottopelle, sotto terra, laddove gli scarti di una società di per se elitaria e corrotta non poteva che trovare terreno fertile in una fogna.
Così l’inno nazionale americano diventa la colonna sonora di un atto terroristico. A crollare non sarà tutto lo stadio, ma solo il campo da gioco. È lo spettacolo che deve morire. Il pubblico ci deve essere. Deve guardare, assistere, terrorizzarsi. L’Occidente implode nella sua disperazione mascherata da benessere. Il danaro, l’intrattenimento, le distrazioni come antidolorifico di un male necessario, così espanso da non poter essere contrastato da un solo uomo.
L’esilio forzato del cavaliere oscuro è durato 8 anni. Bruce Wayne osserva nell’ombra la sua metropoli sana, ma non ancora guarita. Batman, quel simbolo che ingloba un uomo che si è fatto carico di una colpa non sua, non c’è più. La gente di Gotham è stata appannata da un falso mito utile a proteggere un ideale. La città ha avuto quello che di cui aveva bisogno, ma non quello che meritava. Questo non basta più. C’è bisogno della verità, c’è bisogno che la realtà si imponga per quello che è. Batman è stato buono, quasi machiavelliano, ma non giusto. Ma Gotham merita qualcosa? Merita il sacrificio di qualcuno o merita di essere sacrificata?
Il dubbio si insinua nello spettatore. Perché la causa del male non è dettata dall’anarchico caos del Joker, non è delirio fine a se stesso. È un’ideologia profonda e radicata quella che guida Bane: ristabilire l’ordine assoluto ripartendo dallo zero. Un reset totale che pianifichi e purifichi una città predisposta allo squilibrio e alla corruzione dell’animo. Se con Joker lo scontro era un confronto dialettico sulla politica, con Bane (cattivo meno carismatico, ma più spietato) lo scontro è sul piano fisico. Puzza di sangue e sudore, suona di ossa spezzate. Il limite fisico di Batman è la molla decisiva per una rivisitazione dello spirito più che del corpo. È la maschera, tema ricorrente anche nei suoi nemici (il sacco dello Spaventapasseri, il trucco di Joker, la dicotomia di Due Facce, sino alla museruola di Bane) che deve cedere il passo all’uomo. La libertà dell’uomo valica l’argine del costume.
Difficile non fare confronti con i film precedenti e non considerare quest’ultimo capitolo avvantaggiato dal fatto di poter chiudere il cerchio di una storia sempre densa e ben diluita in tre film diversi, ma complementari. Batman Begins era un film sulla paura che indagava la sfera personale dell’eroe, Il Cavaliere Oscuro espandeva la sua analisi dell’icona eroica mettendola a confronto con una follia imprevedibile e con la reputazione della folla. Il Cavaliere Oscuro-Il ritorno e’ sintesi e analisi dei suoi predecessori. Qui il piano individuale si fonde con quello sociale. La disperazione della città è la stessa di Wayne, i cittadini sono in ginocchio come il protagonista, in bilico tra speranza e disperazione. L’eroe che cerca il suo ruolo nel mondo mentre il mondo cerca qualcuno degno del fardello eroico.
L’epilogo dell’epopea di Nolan è un film stracolmo di contenuti e di personaggi forse troppo abbozzati. Un’opera gonfia in cui l’epica si fonde con l’etica, la politica si fonde con la morale e l’eroismo scende a patti con la modernità. Impregnato di metafore e simbolismi come quello costante della risalita dal basso e dei tunnel da scalare.
Ma la metafora definitiva è il salto nel vuoto, inteso come atto di fede. L’atto eroico di Batman e’ un incondizionato atto di fede negli altri. E’ la fede nella lealtà il suo super potere. Credere che nonostante tutto le persone meritino di essere salvate, meritino fiducia, perdono, salvezza. Bruce Wayne ne ha sempre avuto bisogno di affidarsi agli altri; a Lucius Fox per una guida tecnica; a Gordon per un supporto etico, al suo padre mancato Alfred per una saggia guida dell’animo, per consigli guidati dall’amore e dalla lungimiranza. Avendo imparato ad affidarsi, avendo fatto del suo eroe un uomo incapace di bastare a se stesso, Bruce Wayne è predisposto a vedere del buono anche negli altri, a delegare la capacità dell’eroismo anche in una ladra in fuga o in un giovane ferito e disilluso, ma puro d’animo.
“Non è tanto chi siamo, tanto quello che facciamo che ci qualifica” suggeriva l’amata Rachel. È forse per questo che chiunque può essere Batman, è per questo che nonostante le maschere, le armi, le macchine, gli aerei e i mantelli, ad una persona basta anche un semplice cappotto per sentirsi al sicuro, per credere che gli altri possano essere la nostra salvezza e per questo meritarla.
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