“LA TRILOGIA DI BATMAN SECONDO NOLAN”
BATMAN DIVENTA REALE: UNA RIFLESSIONE SUI TRE FILM
Quando si parla di Batman tra appassionati di cinema, sono oramai pochi quelli che ancora si ricordano del pregevolissimo dittico di Tim Burton (1989/1992) o del meno riuscito, ma ugualmente interessante contributo dato da Joel Schumacher con i suoi due film (1995/1997); il motivo è intuibile: negli ultimi anni la figura cinematografica dell’uomo pipistrello ha subito un radicale cambiamento ad opera di Christopher Nolan, che ha ricominciato da zero la saga del personaggio, trasportandolo nel nostro mondo e attualizzando le sue avventure e i suoi nemici. Un restyling alquanto radicale che ha prodotto una trilogia di ottima qualità ma che non manca di alcuni difetti…ma iniziamo dal principio, analizzando accuratamente i tre film.
Tutto inizia nel 2005 all’uscita di “Batman Begins”. C’è da dire, innanzitutto, che questo film è quello che, fra i tre, rimane più attaccato al fumetto dal punto di vista visivo; non si deve dimenticare, infatti, che Nolan non manca mai di prendere spunto dai fumetti per lo sviluppo delle sue storie, anche se lo fa a modo suo. La pellicola, pur distaccandosi dalle precedenti versioni, mantiene però il fascino fumettistico tipico del personaggio, con una Ghotam City ritratta come una normale città americana ma anche come una metropoli tentacolare, oscura e quasi avvolta da una misteriosa nebbia, il che, per certi versi, riporta alla mente la splendida ambientazione dei film di Burton. La fotografia indugia sui toni del giallo ocra e ciò crea un atmosfera surreale e affascinante allo stesso tempo mentre la splendida colonna sonora firmata da Hans Zimmer e James Newton Howard si rivela efficace in ogni momento. Il cast fa il suo dovere: al suo esordio dietro la maschera, Bale è un ottimo Batman mentre Micheal Caine, abile come sempre, tratteggia un Alfred forse meno comprensivo del precedente (l’indimenticabile Micheal Gough) ma comunque appropriato; Katie Holmes, bastonata da tutti per la sua interpretazione, è al contrario perfetta per il ruolo di Rachel Dawes e Liam Neeson costruisce un villain interessante, interpretato con la consueta maestria. Gary Oldman, dal canto suo, interpreta un Gordon più giovane (non ancora commissario) e dà prova di grande bravura…infine Morgan Freeman stempera la tensione con le sue battute e un’interpretazione pressochè perfetta. Una parola va spesa anche per Cillian Murphy e per la sua ottima interpretazione dello Spaventapasseri che però poteva essere meglio sfruttato sia in questo film che in seguito.
In conclusione un film davvero ben costruito, girato con intelligenza e competenza, in bilico tra il mondo reale (vedi le panoramiche diurne della città) e l’universo fumettistico (le scene in notturna e l’isola di Arkham).
Forte del successo del primo episodio, la Warner decide di dare carta bianca al talentuoso Nolan che subito inizia a realizzare un film su Batman al 100% in “Nolan Style”. Il risultato è “Il Cavaliere Oscuro” che si differenzia dal precedente capitolo in più punti. Innanzitutto viene abbandonata qualsiasi aderenza visiva al fumetto e si spinge sempre più l’acceleratore sulla dimensione reale del personaggio: Ghotam è ora in tutto simile ad una qualsiasi città americana, Batman vive nel nostro mondo (tant’è che viaggia fino ad Hong Kong) e i suoi gadget si rivelano, a livello tecnico, al limite del possibile. Nolan, addirittura, decide di non realizzare un cinecomic in senso stretto ma di contaminare il genere con il thriller psicologico e il noir metropolitano (anche se quest’ultimo si rivela predominante nell’ultimo film.) Queste atmosfere si rivelano perfette per un villain come Joker, straordinariamente interpretato da Heath Ledger.
All’epoca (e ancora adesso continuano) si scatenarono furiose discussioni su chi fosse il miglior Joker al cinema: Ledger in questo film o il Jack Nicholson della prima pellicola di Burton? In realtà il confronto è inutile, per il semplice fatto che i due personaggi non sono minimamente confrontabili; è vero, portano lo stesso nome ma uno è un gangster impazzito (Nicholson) e l’altro un terrorista interessato al mero caos (Ledger). Due grandi interpretazioni che rimarranno nella storia del cinema come espressioni di due modi di vedere lo stesso personaggio.
Il cast è azzeccato: Christian Bale, Micheal Caine, Gary Oldman e Morgan Freeman confermano le buone prestazioni offerte nel primo capitolo con altrettante interpretazioni di alto livello e le new entry Aaron Eckhart, il già citato Ledger e Maggie Gyllenhall non sfigurano e anzi offrono performance davvero ottime. Le musiche (Zimmer e Howard) sono perfette e la fotografia, che qui si concentra molto sui toni del blu, è realizzata con maestria dal bravo Wally Pfister; la regia di Nolan si rivela ottima e l’impiego degli effetti speciali non disturba ma anzi arrichisce la visione. “Il cavaliere oscuro”, per concludere, non può essere definito un cinecomic in senso stretto ma piuttosto un ibrido tra il film di supereroi, il thriller psicologico e il dramma criminale per l’alto contenuto di discorsi etici riguardanti potere, anarchia e corruzione.
E arriviamo, infine, all’ultimo capitolo della trilogia, il più atteso dai fan di Nolan che si aspettavano un finale degno di una tale trilogia.
E il regista non si smentisce, consegnando un film che ricalca da vicino la filosofia della pellicola precedente: non un cinecomic duro e puro ma una contaminazione, in questo caso con il noir metropolitano, come già accennato. Infatti la prima parte appare come una riflessione sulla Polizia, sui nuovi criminali che infestano Ghotam, sulla pace (apparente) che è stata costruita a partire da una menzogna…la città non ha bisogno di Batman che, dal canto suo, par essere sparito nel nulla. Ma una nuova ondata di terrore, capitanata dal misterioso Bane, farà precipitare nuovamente Ghotam nel caos e costringerà il cavaliere oscuro a tornare.
Il film viaggia sui binari del noir per tutta la sua durata (2 ore e 45 che non pesano ma anzi emozionano) e a tratti, però, par quasi che la presenza di Batman in un simile contesto risulti stonata, in quanto anche qui non c’è alcuna aderenza visiva ai fumetti. La fotografia, che qui gioca con i toni del grigio, è perfetta come pure la colonna sonora ( qui affidata al solo Hans Zimmer). Il cast è di tutto rispetto e accanto a vecchie conoscenze come Bale, Oldman, Freeman e Caine( qui davvero strepitoso), troviamo il bravo Joseph Gordon-Levitt nei panni del poliziotto John Blake, Tom Hardy come Bane (una performance strabiliante), Marion Cotillard nel ruolo di Miranda Tate e dulcis in fundo Anne Hathaway negli abiti attillati di Selina Kyle; un piccolo appunto: molti media (in particolari riviste di cinema) si riferiscono al personaggio della Hathaway come Catwoman; è chiaro dal film, invece, che il personaggio non è assolutamente la famosa donna-gatto, già portata sullo schermo da Burton con una straordinaria Michelle Pfeiffer, nel 1992…è semplicemente Selina Kyle con una tuta attillata, una mascherina e degli occhiali iper-tecnologici che tirati sopra la testa paiono due orecchie feline. Il riferimento al suo soprannome è molto vago (giusto il titolo di un giornale) mentre l’agilità e la caratterizzazione si avvicinano molto a quelle del personaggo originale.
La sceneggiatura di questo ultimo capitolo è ancora più intricata di quella del precedente, non tanto a livello di fatti, quanto in riferimento alle motivazioni e alle riflessioni dei protagonisti: in alcuni punti esse si fanno addirittura contorte ma per fortuna si riescono sempre a seguire i ragionamenti senza particolari difficoltà. La regia di Nolan è, al solito, raffinata e pulita, senza particolari virtuosismi (peraltro dimostrati nello splendido “Inception”).
In conclusione: la trilogia di Christopher Nolan offre una visione molto realistica del personaggio creato da Bob Kane e cala il contesto di Ghotam City nel nostro mondo, per farlo sembrare più vicino a noi e darci modo di identificarci maggiormente con i protagonisti. Ma una simile operazione, oltre agli innegabili pregi di cui si è parlato, presenta anche dei difetti; ad esempio: il personaggio di Batman, calato in un contesto da noir metropolitano non solo stona in qualche scena ma addirittura costringe a prendere delle decisioni che snaturano l’essenza più pura del personaggio. Ne “Il Cavaliere Oscuro-Il ritorno”, infatti, Batman fa le sue comparse anche di giorno: ma non è sempre stato un supereroe notturno? E il suo essere “creatura della notte” dov’è finito? Inoltre l’uomo pipistrello di Nolan si fa mille patemi mentali su cosa è giusto, cosa è sbagliato, sulla paura, sulla forza, ecc. Perché ad ogni supereroe, adesso, bisogna dare i super-problemi? Un tempo Batman era super proprio perché era invincibile (come il Superman di Christopher Reeve)…arrivava, si prendeva una paio di pugni, restituiva la cortesia con gli interessi e vinceva, senza preoccuparsi troppo delle derive psicologiche del caso. Purtroppo, però, chi scrive sa che un ritorno ad una simile concezione dei supereroi non è più possibile e da un lato rimpiange quel tempo…dall’altro però si rallegra del fatto che film come “Thor”, “Captain America” o lo stesso “The Avengers” hanno scelto di non far pesare troppo i super-problemi ai rispettivi protagonisti, guadagnandone in bellezza.
Per finire: Christopher Nolan ha fatto un ottimo lavoro di riadattamento sul personaggio di Batman e ora rimaniamo in attesa di vedere se riuscirà a ridare smalto anche a Superman, producendo “Man of Steel”, mentre la Warner si prepara al reboot (l’ennesimo!) della saga del pipistrello. Chi scrive, però, teme che la deriva del Batman di Nolan si farà sentire anche nella nuova saga…speriamo, invece, che si torni ad una deriva più fumettistica e meno reale o introspettiva.
Edoardo Billato
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