Ancora un film sul matrimonio, etero od omo che sia. Pure i gay reclamano gli stessi diritti civili conformistici, tanto più se artisti newyorkesi dell'”upper class”. ll cineasta parla di sé cambiando a malapena l’età anagrafica, è ebreo ma preferisce evitare i panni sporchi in casa propria e se la prende con l’intolleranza cattolica, come se George fosse più svampito di Ben e non avesse potuto intuire cos’avrebbe provocato un atto che il magistero della sua religione proibisce. Osannato dalla première al Sundance a ogni festival indipendente e dalla comunità LGBT, 94% su RT in quanto “elegante omaggio alla bellezza dell’impegno di fronte alle avversità”, il tema viene difeso a oltranza anche se nessuno dei pretesti drammaturgici regge. “George ha firmato un accordo in cui è stato assunto e conosceva le conseguenze, perché non mantenere la loro relazione tranquilla a 60 e 71 anni? […] Dopo quasi un quarantennio assieme, perché i due non hanno risparmi e ciò li costringe a cambiare alloggio?” “Perché per la coppia di neoconiugi trovare un appartamento meno costoso risulta così complicato, e perché gl’amici che si fanno carico d’aiutarli li costringono a una separazione invece d’ospitarli entrambi? […] Tra i difetti strutturali di ‘Love Is Strange’ si pone anche un finale (troppo) tardivo. […] Se Ira Sachs si dimostra regista d’interpreti, capace d’infondere nei suoi personaggi notevole complessità, non è altrettanto efficace nel costruire intorno a essi una solida architettura narrativa.” Overdose di francesismi letterari, sociali e musicali quasi a ostentare un esibito, enfatico e compiaciuto “esprit de finesse”. Il pre-epilogo alla metro sarebbe stato meglio della chiusura.
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