Hunger Games: la recensione di lele_16

Hunger Games: la recensione di lele_16

Capitol City è il centro assoluto dello stato di Panem e detiene il controllo sugli altri dodici distretti della regione, a cui ogni anno viene richiesto di pagare un tributo sotto forma di un ragazzo e una ragazza fra i 12 e i 18 anni.
Questi saranno i protagonisti degli Hunger Games, show televisivo annuale, nel quale dovranno combattere tra di loro fino alla morte.
Quando la sorellina di Katniss Everdeen verrà scelta per partecipare al perverso spettacolo, pur di salvarla, Katniss si offrirà spontaneamente come tributo, ritrovandosi così ai Giochi.

Qual’era la paura più grande nel dare vita al romanzo di Suzanne Collins? Probabilmente creare una nuova saga piena zeppa di storie banali e personaggi privi di spessore psicologico, come Hollywood ci ha abituati ormai da tempo.
E’ già in questo che la pellicola di Gary Ross segna un punto: la voglia di ottenere finalmente un prodotto che prende le distanze dai suoi predecessori, più maturo per quanto possibile, di dargli un taglio diverso che avrebbe potuto renderlo appetibile non soltanto per quel target esclusivo di giovanissimi.
E anche solo per questo, Ross merita un riconoscimento.
Perché, alla fine, Hunger Games non è il solito film che ci si può aspettare: distopia, violenza, apparenza, controllo del potere e sottomissione del popolo mediante uno show in cui dei ragazzini sono costretti ad uccidersi per sopravvivere.
Tanti temi, probabilmente troppi, ma che comunque riescono a venire fuori e a condensarsi, garantendo lo spettacolo di un certo spessore che si è ricercato.
Fin da quella Capitol City, in cui tutto ciò che sembra aver valore è solamente lo spettacolo e l’estetica, mostrandoci un pubblico disturbante nella sua palese falsità, inquietante nella sua voracità di sangue e nell’istituzione di quelli che, chiamarli “giochi”, sembra riduttivo; a lei, Katniss, interpretata a dir poco meravigliosamente dalla giovane promessa Jennifer Lawrence, che riesce a catturarti con pochi semplici sguardi. Più che semplice eroina, un’ideale di libertà che non puoi non amare e condividere una volta catapultato lì nell’arena insieme a lei.
E ancora, l’ambiguità che permea tutto il film (ottimamente inserita in tale contesto) e ne tocca anche una parte importante, vale a dire l’amore, senza far comprendere appieno allo spettatore fin dove realmente si spinga questo tra Katniss e Peeta, ormai completamente (?) risucchiati nel marcio sistema di Capitol, nonostante loro stessi abbiano distrutto una buona parte del pensiero che ne stava alla base.

Sicuramente non perfetto, il film perde qualche colpo verso il finale e smorza l’eccellente suspance che si era venuta a creare, e più di una volta durante i giochi perde in realismo, stemperando la violenza e la crudeltà (il “politically correct” la fa da padrone).
In ogni caso, Hunger Games resta un’ottima pellicola, sia contenutistica che tecnica (musiche di Newton Howard e fotografia di Stern ineccepibili), corredata da grandi interpreti (tra cui, seppur i pochi momenti, spiccano un sofferto Woody Harrelson e il sempiterno Donald Sutherland), che ha dimostrato di saper unire intrattenimento e temi importanti, e di sapersi rivolgere a ogni tipo di pubblico creando quasi un nuovo prototipo nel suo genere, rifiutando categoricamente l’etichetta di comune “teen movie” ed, infine, gettando le basi per un altrettanto ottimo sequel.
Non ci resta che attendere.

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