“The Hunger Games”, I Giochi della Fame. E’ questa la punta di diamante attorno a cui ruota il nuovo, spettacolare fanta-scientifico film, diretto dal regista e sceneggiatore statunitense, con duplice passata candidatura agli Oscar, Gary Ross. Il merito di aver portato sul grande schermo un sci-fi fantasy movie, come è quello di cui stiamo parlando e che solo Hollywood avrebbe potuto sfornare, è indubbiamente suo; ma la geniale mente da cui tutto è scaturito è quella di Suzenne Collins, autrice dell’omonimo libro, da cui il film ha preso le mosse. Primo di una trilogia avvincente e ricca di suspense, Hunger Games ci trasporta in un universo futuristico, quello di Capitol City, città-madre, situata nello stato di Panem, e che pone il suo scettro governatore su dodici distretti, classificati in una sorta di gerarchia piramidale di ricchezza e di povertà. Ogni anno Capitol preleva ragazzi di giovane età, due per ogni distretto, li addestra e li getta in un’arena gladiatoria a combattersi a vicenda, fino alla morte. 23 ragazzi cadranno, uno soltanto sorgerà come unico, possibile vincitore. Li definiscono “giochi”, ma altro non sono che una crudele atrocità pensata per il divertimento di un gruppo di sadici, che assistono all’evento comodamente seduti sui loro lussuosissimi ed eccentrici divani, imbellettati ed infagottati, con un sorriso ebete in volto. Un reality show pensato come un campo di sterminio. E’ in questo universo parallelo che vengono gettati i due protagonisti principali, Katniss Everdeen, una giovane ma talentuosa Jennifer Lawrence, e Peeta Mellark, un affascinante Josh Hutcherson, di ritorno dal “Viaggio nell’isola misteriosa”. Lei, oserei dire, quasi una Lara Croft futuristica, forte, indipendente, a volte rude al tocco e scontrosa, ma, a tutti gli effetti, un’eroina da prendere a modello. La sua capacità di affrontare le situazioni che le si pongono dirimpetto e, a volte, la sua ingenuità nel non capire verso quali sentimenti il suo cuore la stia indirizzando la rendono, agli occhi dello spettatore, una perla rara, una leggenda destinata a sorgere e a portarsi dietro schiere di donne e ragazze, che vedono in lei ciò che vorrebbero essere o cioè che vorrebbero poter essere state. Il coraggio di lottare per la sopravvivenza, imponendosi sui discutibili modi di vita di Capitol, sulle atrocità speculate dagli strateghi, mente spietata e cinica soprintendente a questo barbaro anfiteatro di concentramento. Con lei un Peeta inizialmente debole, ambiguo, di dubbia lealtà, ma che, infine, si rivelerà essere tutto ciò che di più reale e veritiero possa essere rimasto a Katniss. I “Giochi della Fame”, fame di cosa? Lo spettatore perspicace lo comprende al volo grazie all’entusiasmante bravura di Gary Ross nel far trapelare dai singoli personaggi i moti delle loro anime, che ci sanno cogliere da vicino. Fame di vita, di speranza, di amicizia, di amore, di fiducia, un mix di sentimentalismi assolutamente proibito nell’arena, ma che i due giovani protagonisti non stentano ad abbandonare per ricordare a loro stessi chi sono, chi aspirano ad essere e chi non vorrebbero mai diventare. Un film che coinvolge lo spettatore dall’inizio alla fine, caricandolo di suspense, inquietudine, terrore, ma anche di fierezza ed orgoglio. Un nuovo inizio, una nuova saga, una nuova passione, ed insieme una nuova speranza per un mondo per certi versi analogo a quello descritto. Un mondo avveniristico? No, il mondo reale.
Citazione preferita? Un sorprendente ed amichevole Lenny Kravitz, alias Cinna, lo stilista di Katniss, dicendole: “Non mi è permesso scommettere, ma se potessi scommetterei su di te”.
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