Hunger Games: la recensione di emma

Hunger Games: la recensione di emma

La trama di Hunger Games parte da una semplice e allo stesso tempo inquietante considerazione: fin dove può spingersi la fame di assistere a vite altrui, dove può arrivare il desiderio di vivere esperienze “eccitanti”, ma solo per interposta persona, rimanendo comodamente seduti in poltrona? Che cosa succede se la violenza e la morte si trasformano in una mera questione di audience?
In un prossimo futuro,in quello che un tempo era il Nord-America e che ora è uno stato autoritario chiamato Panem, 12 ragazze e 12 ragazzi, chiamati tributi, sono costretti, come in una moderna rivisitazione del mito di Teseo, a prendere parte ad un sadico reality show, in cui devono uccidersi a vicenda finché non ne rimane uno soltanto, che sarà proclamato vincitore.

Protagonista del film è Katniss Everdeen, giovane eroina suo malgrado, interpretata da una bravissima Jennifer Lawrence (Un gelido inverno, X-Men l’inizio). Personaggio a tutto tondo, coraggiosa, capace di scelte difficili, che non si arrende al suo destino e pronta a combattere fino all’ultimo, così diversa (finalmente!) dalle tante protagoniste femminili passive e deboli che i media sempre più spesso rappresentano. E’ sicuramente il fulcro ed il principale punto di forza dl film, anche se non l’unico. Straordinari sono anche molti personaggi di contorno, ed è ben resa l’ambiguità della storia d’amore tra Katniss e un altro tributo, Peeta. È inoltre ben riuscita la rappresentazione del lusso e dello sfarzo in cui vivono gli abitanti della capitale della nazione, Capitol City, mentre poteva esserne maggiormente esaltato il contrasto con i distretti poveri in cui è diviso il resto del paese.

(ATTENZIONE SPOILER )

Quello al mito del Minotauro è solo il primo di una lunga serie di riferimenti all’antichità, soprattutto romana, disseminati lungo il film, a cominciare dagli stessi Hunger Games, chiaramente ispirati ai giochi gladiatori, con i tributi che raggiungono l’arena comparendo da passaggi nascosti nel terreno, e le belve che vengono aizzate contro i ragazzi. Senza contare il nome stesso dello stato, Panem, prima parola del celebre motto “panem et circenses” (pane e giochi del circo), oltre ai nomi di molti personaggi, primo fra tutti lo stratega Seneca Crane, costretto a suicidarsi nel finale del film per aver deluso il suo presidente, vicenda che assomiglia a quella del filosofo Seneca costretto al suicidio dal duo imperatore Nerone. E infine il presidente di Panem, a metà tra Minosse e Nerone, che dà le sue giovani vittime in pasto a una folla informe e vacua, che guarda al massacro come a uno spettacolo d’intrattenimento, senza porsi alcun problema etico o morale.

Ed è proprio questo l’aspetto che più affascina durante la visione del film. Non si può fare a meno di pensare che, nonostante il punto di vista adottato si quello della protagonista, in realtà noi, che assistiamo alle avventure di Katniss nell’arena, ai suoi combattimenti, ai suoi dubbi verso l’amico/nemico Peeta, che non riusciamo a staccare gli occhi dallo schermo durante il loro “idillio” amoroso, vero o finto che sia, noi spettatori del film, più che a Katniss, finiamo per assomigliare agli spettatori di Capitol City, che, come tutti i fruitori di reality show, chiedono emozioni forti e spettacolarità, non importa se reali o fasulle. Certo, noi sappiamo di essere dentro un cinema e che i fatti narrati nel film sono frutto di fantasia, ma nonostante questo ci chiediamo se un futuro in cui il confine che separa guerra e spettacolo televisivo sarà superato sia poi cosi lontano.

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